“Il seme del fico sacro” di Mohammad Rasoulof in corsa nella cinquina per il miglior film straniero. Racconta la repressione delle libertà e lo scontro generazionale attraverso la storia di una famiglia durante le proteste per la morte di Mahsa Amini. Girato nella capitale iraniana eludendo la censura da un regista oggi costretto a vivere in esilio.
Il raid degli agenti in borghese nella provincia di Mazandaran risale ai primi del mese ma è emerso solo in questi giorni. In cella Somayeh Rajabi, che stava partecipando a un raduno di 80 fedeli nel nord dell’Iran. Condotte perquisizioni corporali, croci e collane strappate a forza. Gruppi attivisti denunciano una “escalation spaventosa” di esecuzioni, con numeri sottostimati.
L’Arabia Saudita crocevia di diversi dossier globali, dalla guerra in Ucraina al futuro della Striscia fino al nucleare iraniano. Sotto la leadership di bin Salman il regno ha rinsaldato i rapporti con Trump e disinnescato le tensioni con Teheran. La partita della normalizzazione con Israele e la sfida interna con gli Emirati Arabi Uniti per l’egemonia nel Golfo.
Amir Mohammad Khaleghi, 19enne, è stato pugnalato da “scippatori” la scorsa settimana nei pressi del campus. La sua morte ha innescato manifestazioni contro insicurezza e cattiva gestione degli atenei. Voci - smentite dal governo - di arresti fra i manifestanti. Per l’anniversario della rivoluzione islamica “graziate” le due giornaliste che avevano denunciato l’uccisione di Mahsa Amini.
L’ultimo caso nei giorni scorsi, con una 30enne ammazzata dal marito che voleva lasciare per le continue violenze domestiche. Un’altra ragazza colpita da padre e fratello mentre reggeva fra le braccia il bambino piccolo. Secondo alcuni studi oltre 130 donne uccise dal marzo scorso. Almeno 74mila le denunce per abusi e violenze, ma i numeri potrebbero essere di 100 volte superiori.
Un aumento di sei volte rispetto al 2023, in un quadro di crescente repressione che ha visto condannare 96 fedeli. È quanto emerge da uno studio pubblicato da gruppi attivisti e intitolato “La punta dell’iceberg”. Perché, in realtà, le violazioni alla pratica del culto sono molto più diffuse dei dati pubblicati. Il ruolo dei servizi e la ricerca di contatti o fondi dall’estero.