Sale lo scontro politico in Georgia in vista delle elezioni parlamentari di ottobre. L’opposizione guarda all’Europa, mentre la leadership al potere punta al controllo del Paese (e a un nuovo equilibrismo fra Russia e Ue, sul modello ungherese). Sullo sfondo il ruolo di Ivanišvili fra sfera pubblica e interessi privati.
La virata di Tbilisi verso Mosca richia di avere ripercussioni anche sui gasdotti che collegano l'Azerbaigian all'Europa attraversandone il territorio. E anche l'Armenia che sta cercando di smarcarsi dalla Russia, potrebbe perdere il suo alleato più importante.
Promulgata la discussa legge “sulla trasparenza delle influenze straniere” il partito al potere del Sogno Georgiano promette di “scovare tutti gli agenti stranieri, i traditori e gli spioni” partendo dai “giovani arruolati” per inscenare l’insurrezione. Imbrattate con la scritta "schiavi" le mura delle case dei deputati che hanno votato il provvedimento. Ma anche le forze di opposizione denunciano minacce e intimidazioni.
Nonostante la prova di forza del Sogno Georgiano con l'approvazione definitiva i dimostranti hanno avuto la possibilità di mostrare il “volto europeo” di Tbilisi. Molti sperano che il provvedimento potrebbe non essere applicato, per evitare sanzioni da parte di Washington e Bruxelles. In attesa dell'appuntamento elettorale di ottobre.
A Tbilisi i dirigenti del partito al potere del Sogno Georgiano definiscono i dimostranti come “radicali” e addirittura “satanisti”. Il patriarcato sostiene apertamente il governo, impegnato a combattere “l’imposizione alla popolazione del Paese delle ideologie estranee, inusuali e pericolose. Ma l’arcivescovo di Dmanisi, Zenon Iaradžuli, ha chiesto di non approvare la legge che potrebbe danneggiare anche alcune ong legate alla Chiesa.
Non si sono placate in Georgia nemmeno nei giorni pasquali le manifestazioni degli oppositori dopo l’approvazione in seconda lettura della legge sulle “influenze straniere”. La legge dovrebbe essere rivista dal comitato giuridico del parlamento per la conferma definitiva. Una situazione che rischia di far sospendere lo status di Paese candidato all'ingresso nell'Unione europea.