Vicario Arabia: riapriamo appena possibile la missione nello Yemen
Ad AsiaNews mons. Martinelli definisce “urgente” rilanciare la “presenza” della Chiesa nel Paese martoriato da conflitti e violenze. La testimonianza delle suore, l’opera della Caritas e la realtà cristiana locale. I missili Houthi verso Israele, la neutralità del Golfo e il fragile equilibrio con Riyadh e Teheran. La Casa Abramitica modello di incontro, confronto e preghiera.
Roma (AsiaNews) - “Recuperare il rapporto con lo Yemen”. Per mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), è “urgente” rilanciare la missione nel Paese dilaniato da oltre un decennio di guerra civile, a più riprese sfociata in un conflitto regionale per procura. Uno scontro sanguinoso fra Houthi, legati all’Iran, e l’esercito governativo riconosciuto dalla comunità internazionale (sostenuto da Riyadh), che negli ultimi mesi è stato anche teatro di attacchi verso Israele da parte dei miliziani o assalti a imbarcazioni nel mar Rosso. Una escalation, legata alle vicende della Striscia, che sta causando danni ingenti al commercio internazionale e che ha riportato alla ribalta delle cronache una nazione relegata ai margini della politica globale. “Dobbiamo valutare a fondo la situazione, capire come possiamo intervenire - avverte il prelato - e, appena ci sono le possibilità, ripartire. Una nazione abbandonata da un decennio e vittima di un conflitto che sembra interessare a pochi. Ecco perché, appena posso, intendo andarci e dare il segnale di una rinnovata presenza, con calma e umiltà, che una piccola comunità cristiana è rimasta e continua a dare testimonianza di fede”.
Una comunità da salvare
“In molti sono andati via in questi anni di guerra” racconta ad AsiaNews mons. Martinelli a margine dei lavori dell’assemblea sinodale in Vaticano, ma con l’attenzione sempre rivolta a uno scacchiere mediorientale sempre più sopraffatto da sangue e violenze. “Tanti hanno perso il lavoro - prosegue - soprattutto i migranti che hanno deciso di partire, ma bisogna anche sottolineare che vi è un filone di cittadini cristiani che non è presente in altri Paesi del Golfo. Vi è una piccola, ma significativa realtà locale che mostra come la Chiesa debba essere presente e, appena possibile, ripartire”.
“Tornare ad Aden (Yemen del Sud) sarebbe un bel messaggio” spiega il vicario d’Arabia, perché è un territorio “al quale guardiamo con grande interesse. Nello Yemen del Nord abbiamo due comunità delle suore di Madre Teresa e un sacerdote. Inoltre, la Caritas polacca è operativa nella regione di Aden. Nelle scorse settimane era allo studio l’invio “di un altro sacerdote” racconta, ma l’escalation in Medio oriente e le possibili ripercussioni invitano, almeno per il momento, alla prudenza dato che lo Yemen “potrebbe essere uno dei target di attacchi come si è visto in questi ultimi giorni”.
“Abbiamo parlato con le suore - prosegue il prelato - e ci hanno raccontato di esplosioni, ma grazie a Dio a loro non è successo nulla. Certo, il quadro resta certamente di fragilità, ma vi sono comunque segnali positivi” come la decisione della Santa Sede di “estendere” anche allo Yemen il territorio sotto la responsabilità del nunzio apostolico negli Emirati (Eau). Ecco perché “speriamo almeno al sud di ripartire, di andare a breve in visita: abbiamo quattro chiese, tutte gravemente danneggiate dalla guerra civile, che intendo vedere di persona per capire come dare nuovo corso alla nostra missione”. Le notizie restano “frammentarie” avverte mons. Martinelli, ma “da quanto ne sappiamo al sud il quadro è più tranquillo, si può pensare di ricominciare dato che pure la Santa Sede ha interrotto questa fase prolungata di vacanza”. Il nord, invece, resta “un punto di domanda ed è necessario prestare maggiore attenzione”.
Fragile equilibrio
Lo Yemen vive una fase di fragile equilibrio per le molteplici tensioni e i rapporti di forza cui è sottoposto, partendo dalle contrapposizioni politico-religiose fra Riyadh (sunnita) e Teheran (sciita), cui si aggiunge il coinvolgimento negli ultimi mesi nella guerra a Gaza fra Israele e Hamas. In questa prospettiva si inquadra anche il lancio di razzi ieri da parte delle milizie Houthi verso Tel Aviv e il centro di Israele in concomitanza con le commemorazioni per il 7 ottobre, intercettati dall’esercito (Idf). “Quello che possiamo fare avendo una presenza marginale a livello di numeri - racconta il vicario - è di sostenere e valorizzare l’opera di carità che mettono in atto le religiose di Madre Teresa, oltre ai progetti umanitari della Caritas”.
Alle opere si affianca anche il compito della preghiera, che coinvolge tutte le chiese del vicariato dove “nel quotidiano celebriamo una messa per la pace, con l’intenzione di chiedere la fine di questa escalation di violenze e per le numerose vittime del conflitto”. Del resto quello della pace, o quantomeno della tregua e della fine del ricorso alle armi “è un tema sempre presente nella liturgia. Invochiamo la pace, la riconciliazione fra le parti” anche se le prospettive attuali non sembrano indurre all’ottimismo e permane un clima di guerra e di vendetta.
Casa Abramitica e neutralità del Golfo
Allargando la riflessione al Golfo, partendo dall’osservatorio degli Emirati Arabi Uniti, l’atteggiamento prevalente riguardo all’escalation in Medio oriente è quello di una “sostanziale neutralità” osserva mons. Martinelli, anche se l’attenzione resta alta. “Da Dubai ad Abu Dhabi, sui giornali ogni giorno vi sono notizie sulla guerra, si dà ampio spazio alla cronaca quotidiana - prosegue - ma non vi è una posizione politica. Prevale, al contrario, il tentativo di sottolineare l’aspetto umanitario, l’invio di aiuti che gli Emirati spediscono regolarmente, la scelta di accogliere i malati e i feriti per curarli; da questo punto di vista vi è grande attenzione e interesse per chi è colpito dalla guerra. A livello di leadership, intanto, si continua ad aspettare e vedere l’evoluzione del quadro, cercando al contempo di fare del bene laddove i bisogni sono enormi e molteplici”.
Sullo sfondo, in quadro di forte contrapposizione, gli Emirati preservano quanto di positivo è stato fatto negli ultimi anni sia da un punto di vista politico, che in una prospettiva di dialogo interreligioso: dagli Accordi di Abramo alla firma del documento sulla fratellanza di papa Francesco e dell’imam di al-Azhar, che trovano una dimensione concreta nella “Casa Abramitica” che resta un modello positivo in una regione in guerra. Un luogo di incontro delle tre grandi fedi monoteiste, che unisce musulmani, cristiani ed ebrei in cui “si prega regolarmente per la pace e la riconciliazione, perché questa rimane la posizione fondamentale” come sottolinea il vicario d’Arabia. “Penso sia molti bello - spiega - che si riesca a mantenere viva questa realtà, anche se rispetto alle potenzialità viene vissuta in un tono più contenuto. Ciononostante rimane un segno importantissimo, perché luogo fisico di incontro e di confronto cui si affianca un forum in cui si affrontano temi fondamentali rispetto al documento stesso”. Uno spazio dalla forte impronta educativa che esula da questioni politiche, “mette al centro il valore della fratellanza umana” e tende a lavorare “su questioni positive, mantenendo separati gli ambiti”. Il sacerdote, il rabbino e l’imam sono figure “estremamente equilibrate - conclude mons. Martinelli - molto brave nel coltivare rapporti positivi e pregare per la pace: la ‘Casa’ ha uno scopo positivo, cambierebbe la sua natura se diventasse un agone etico o politico”.
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