31/05/2010, 00.00
INDIA – UZBEKISTAN
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Vescovo indiano: guardando a Matteo Ricci, annunciare il Vangelo nella terra di Tamerlano

di Nirmala Carvalho
Mons. Menamparampil ha visitato l’Uzbekistan in qualità di presidente dell’ufficio per l’Evangelizzazione dei vescovi asiatici. Il prelato racconta le difficoltà di una comunità “esigua”, ma salda nella fede. Nell’opera di annuncio egli invita a “sussurrare la Parola di Dio all’anima dell’Asia”.
New Delhi (AsiaNews) – La presenza dei cristiani nelle Repubbliche ex-Sovietiche dell’Asia Centrale è “esigua”, se si esclude una comunità più numerosa nel Kazhakistan. Per i fedeli “esiste libertà di culto” dai tempi dell’indipendenza dalla Russia, ma la Chiesa non può gestire istituzioni proprie, come “scuole e ospedali”, o “organizzare attività caritative”. Mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati (India) e Presidente dell’ufficio per l’Evangelizzazione della Federazione delle Conferenze dei Vescovi asiatici, spiega in esclusiva ad AsiaNews quali sfide e quali problemi affrontano oggi i cristiani dell’Asia Centrale.
 
Il prelato ha visitato l’Uzbekistan e sottolinea che “nell’anno dedicato a Matteo Ricci, guardiamo con grande speranza alla nostra missione in Asia”. Egli invita a non imitare “in modo meccanico” i giganti della missione del passato, ma a una “emulazione creativa” per diffondere il Vangelo e cogliere gli aspetti peculiari della cultura locale.
Ecco, di seguito, l’intervista di mons. Menamparampil ad AsiaNews:
 
Eccellenza, quale lo scopo del suo viaggio in Uzbekistan?
Mons. Jerzy Maculewicz, vescovo di Tashkent, mi ha invitato ad animare la comunità cristiana uzbeka in occasione dell’incontro annuale, a maggio. Il numero dei fedeli non è elevato, ma la loro fede è profonda. Per tre giorni si sono riuniti oltre 150 cattolici da tutto il Paese, per momenti di preghiera e riflessione. Parlavo in inglese e le mie parole venivano tradotte in russo, lingua franca che unisce polacchi, uzbechi, croati, tedeschi, ucraini e coreani. La maggior parte dei cristiani sono ex deportati ai tempi del regime sovietico, oppure persone inviate nella zona per contribuire allo sviluppo. Conquistata l’indipendenza, papa Giovanni Paolo II ha subito stabilito relazioni diplomatiche con i governi, cercando il riconoscimento per la piccola comunità cattolica… Vi è stato un gran cambiamento dai tempi dell’Unione Sovietica, ma la situazione è ancora lontana dall’essere ideale.
 
Quanto è salda la fede della comunità cattolica?
I russi ortodossi sono molto più numerosi dei cattolici, la presenza dei cattolici è “esigua”, se si esclude una comunità più consistente in Kazhakistan. Molti dei governi [dell’Asia Centrale] non riconoscono la Chiesa come ente e le domande restano pendenti. I fedeli hanno libertà di culto dai tempi dell’indipendenza dalla Russia, ma la Chiesa non può gestire istituti in proprio, come scuole e ospedali, o organizzare attività caritative in qualsiasi modo. Solo le attività delle Missionarie della Carità, le suore di Madre Teresa, sembrano in qualche modo essere tollerate. Ho incontrato diverse religiose dall’India e ho celebrato una messa con loro. La gente con un retroterra cattolico, dalle radici europee, sta riscoprendo la fede… Dobbiamo pregare molto per queste nazioni, perché finora hanno avuto possibilità assai limitate. La storia ci insegna che in passato vi era una ricca presenza cristiana nell’Asia Centrale. La diffusione dell’islam l’ha spazzata via. È difficile trovare le tracce della presenza cristiana del passato… ma dobbiamo restare saldi nella fede, perché i giorni migliori devono ancora arrivare.
 
Quanto è significativa la presenza cristiana? È integrata all’interno della società?
Il numero non supera le due o trecento unità. Ma i cattolici sono ben integrati con il resto della comunità. Ringraziando Dio, la società musulmana in Asia Centrale non è ancora incline al fondamentalismo. Ma non possiamo sapere cosa succederà in futuro, perché una nazione come l’Uzbekistan confina con l’Afghanistan. La messa ai margini della religione, promossa dalla società sovietica, ha determinato una sorta di indifferenza fra le popolazioni. […] Oggi guardano all’islam come parte della loro cultura. La gente è orgogliosa del passato, del tempo in cui Tamerlano dominava il mondo da Samarcanda. Sebbene figure come Tamerlano e Gengis Khan siano ricordo di esperienze tragiche in alcune nazioni, per loro sono eroi nazionali. Durante un breve viaggio attorno a Tashkent, abbiamo visitato una scuola in memoria di Lal Bahadur Shastri, dove i bambini hanno cantato alcuni motivi in Hindi in mio onore. Poi, insieme a un sacerdote e a un religioso, ho raggiunto la piazza centrale, fermandomi ai piedi di una grande statua di Tamerlano. Abbiamo pregato Dio per i disegni misteriosi con i quali guida i destini umani […] e sono sicuro che le nostre preghiere non sono state vane.
 
Eccellenza, esiste libertà di culto e di diffusione della fede? È permessa l’opera di evangelizzazione?
Esiste libertà di culto. I fedeli possono pregare nelle loro chiese, nulla di più. Non si possono organizzare momenti di adorazione nelle piazze pubbliche. Non si possono fondare istituti o avviare attività sociali. La situazione è parte del retaggio sovietico. Non so se si può parlare di diffusione della fede nel senso proprio del termine, a oggi. Qui si vede che la mia formula ‘sussurrare la Parola di Dio all’anima dell’Asia’ acquista un senso. Per questo sono sicuro: in ogni luogo vi sono persone in cerca della verità, e vi sono molti che – come Gesù – sentono di essere venuti in questo mondo per farsi testimoni della verità.
 
Esistono vocazioni? Si assiste a una crescita della fede o vi è una diminuzione?
È forse troppo presto per parlare di vocazioni. Ma già durante il mio soggiorno ho sentito di ordinazioni di giovani cresciuti nella regione. Ho incontrato seminaristi… non moltissimi, ma un numero significativo. Tuttavia, le piante che crescono su un suolo arido, sono anche le più forti. In qualità di presidente del Dipartimento per l’evangelizzazione dei vescovi asiatici, penso che le aree maggiormente in difficoltà dell’Asia siano anche quelle che meritano maggiore attenzione. E in questo anno dedicato a Matteo Ricci, guardiamo alla nostra missione in Asia con grande speranza. Non è importante l’imitazione meccanica dei giganti del passato, ma una emulazione creativa, con la consapevolezza di condividere il Vangelo e prestare molta attenzione alle culture locali.
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