Tessile: si cerca un accordo tra Stati Uniti e Cina
Le posizioni sono distanti su durata del patto e limite all'aumento delle importazioni. Esperti osservano che occorre piuttosto intervenire sui problemi strutturali della produzione in Cina: inquinamento, sicurezza sul lavoro, salari.
Washington (AsiaNews/Agenzie) Proseguono oggi a Washington i colloqui tra Cina e Stati Uniti per cercare un accordo sull'importazione dei prodotti tessili. Fonti ufficiali dicono che dopo 2 giorni di incontri le posizioni sono più vicine, anche se appare difficile un'immediata conclusione. "Abbiamo compiuto grandi progressi negli ultimi 2 giorni ha detto David Spooner, capo della delegazione Usa e, anche se permangono problemi, siamo convinti che ulteriori colloqui saranno utili".
L'esportazione dei prodotti tessili cinesi negli Usa è salita del 627% dal 1° gennaio 2005, quando sono stati tolti i limiti all'importazione che esistevano prima dell'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio. La Cina è stata accusata di tenere il rapporto di cambio yuan-dollaro troppo basso, così da assicurare un ingiusto vantaggio alle proprie merci. Le associazioni tessili americane hanno chiesto l'imposizione di limiti e il governo ha bloccato l'importazione dei prodotti tessili dalla Cina. Ma la Trade Representative americana ritiene che l'imposizione delle quote sia una "zavorra" per tutti e vorrebbe un accordo anche per fornire certezze a importatori e venditori al dettaglio americani.
I colloqui di Washington costituiscono il 3° round delle negoziazioni. Secondo fonti del settore industriale, sono stati raggiunti progressi sul numero dei prodotti tessili oggetto dell'accordo e sulla legittimità delle misure di auto tutela adottate dagli Stati Uniti. Ma le posizioni rimangono distanti sulla durata dell'accordo, il livello al quale l'export cinese può arrivare e il punto di partenza per il calcolo delle esportazioni. Gli Stati Uniti insistono che l'accordo deve arrivare fino al 2008 con un possibile aumento annuale dell'export fino al 7,5%. La delegazione cinese chiede che ogni limite termini entro il 2007 e sia permesso un incremento annuale tra il 20 e il 25%.
Le industrie Usa ricordano che dal 2001 l'industria tessile americana ha perso circa 400 mila posti di lavoro, soprattutto per l'invasione delle merci cinesi.
Ma gli esperti osservano che il problema non si risolve con l'imposizione di quote (destinate, comunque, a venire meno al più tardi entro il 2008) ma con una armonizzazione economica e giuridica mondiale della produzione e del mercato del lavoro. Gary Locke, ex governatore dello Stato di Washington, sottolinea che il problema deriva dai bassi costi per la produzione tessile in Cina. A suo giudizio le barriere commerciali sono "controproducenti" e la soluzione dipende dalla politica del governo Usa.
"Occorre osserva - che i lavoratori americani siano allo stesso livello di quelli di altri Paesi. Infatti sono importanti una maggiore tutela dell'ambiente e la salute e gli standard di sicurezza sul lavoro; altrimenti ogni Paese, in America Latina o in Africa o in Asia che non gode di simili tutele o di standard minimi [di protezione sul lavoro e di salario] avrà costi di produzione e di servizi inferiori a quelli dei lavoratori americani". Le barriere commerciali sono negative, osserva ancora Locke, perché per vendere i prodotti americani nel mondo occorre aprire il mercato alle merci e ai servizi degli altri Paesi. I maggiori scambi commerciali con Pechino hanno portato anche vantaggi all'industria americana. Società Usa come Microsoft e Boeing hanno ampio mercato in Cina e "ci sono ancora incredibili possibilità in Cina per le società e i lavoratori americani". (PB)