Senza Dio non c’è pace. La fine del relativismo e del cristianesimo dei “valori”
di Bernardo Cervellera
Nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2012, Benedetto XVI mette le basi di una nuova “città dell’uomo” e di un nuovo patto sociale. La crisi attuale – anche quella economica – ha anzitutto radici “culturali e antropologiche”. Battere il relativismo con la ricerca della verità. Le dimenticanze dei movimenti cristiani della pace.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Nel Messaggio per la Giornata della Pace 2012, Benedetto XVI non usa mezzi termini: per “educare i giovani alla giustizia e alla pace” – il tema di quest’anno – occorre aiutare la gioventù a scoprire la dimensione trascendente e religiosa della persona, su cui si basa ogni dignità, diritto, rispetto e convivenza fra gli uomini.
Di fronte alle attese frustrate, alle angosce, alle insicurezze vissute dai giovani, “dono prezioso per la società”, egli afferma che “non sono le ideologie che salvano l’uomo”, ma il “volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero” (n. 5).
Facendo questo, il papa va dritto in fondo alle cause profonde della crisi economica e umana attuale, affermando che “la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; [è] una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche” (n. 1).
Allo stesso tempo, proponendo ai giovani, alle famiglie, agli educatori e ai politici di riscoprire le radici religiose della giustizia e della pace, egli mette da parte, come ormai superato (ed era ora!), quel cristianesimo “dei valori”, secondo cui i cristiani si devono accodare nel sostenere insieme agli altri valori “laici” neutri, ma con motivazioni religiose e private, da tenere nascoste.
Per il pontefice la crisi economica e sociale che distrugge le speranze dei giovani e rende impotenti i vecchi, è il “relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio ‘io’. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune” (n. 3).
La lotta contro la “dittatura del relativismo” è un cavallo di battaglia di Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato. Ma in questo egli raccoglie anche il desiderio di molta cultura contemporanea. Il filosofo Jurgen Habermas – amico di Ratzinger – ha affermato diverse volte che per ridare sostanza alla cultura occidentale occorre ritornare a vivere “come se Dio ci fosse”, altrimenti l’edificio dei diritti e dei valori crolla come un castello di carte. Anche Julia Kristeva, invitata dal papa ad Assisi nell'ottobre scorso, vede nel superamento della “età del sospetto” e nell’apertura alla tradizione giudeo-cristiana la possibilità di superare il totalitarismo e le secche del secolarismo.
Per questo, per educare i giovani alla giustizia e alla pace, Benedetto XVI propone anzitutto di educare alla verità e alla libertà.
Il volto umano di una società – afferma il papa - dipende molto dal contributo dell’educazione a mantenere viva “l’insopprimibile domanda” sulla verità. Ma “per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura… È questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio” (n. 3).
“ ‘L’autentico sviluppo dell’uomo – sottolinea ancora - riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione’ inclusa quella trascendente, e che non si può sacrificare la persona per raggiungere un bene particolare, sia esso economico o sociale, individuale o collettivo” (n. 3).
Ciò porta a comprendere che la libertà “non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io. L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio” (n. 3).
“Il retto uso della libertà – conclude - è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la disponibilità al sacrificio” (n. 3).
Secondo il papa, solo in questo modo si supera la visione “contrattualistica” della giustizia, una “convenzione umana” che cerca la sintesi fra interessi individualisti, e si apre alla solidarietà e alla pace. Grazie al fondamento dell’amore di Dio, possiamo “educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti” (n. 5).
Mentre il mondo sembra sbigottito dall’ampiezza della crisi contemporanea e cerca soluzioni tecniche e materiali agli abissi economici, si ha l’impressione che il papa stia costruendo una nuova “città dell’uomo”, basata su un nuovo patto sociale, che ha il suo fondamento nella riscoperta di Dio e nella dignità degli uomini, immagine e somiglianza di Dio.
Ed è impressionante che mentre i governi accrescono tasse, Benedetto XVI domanda aiuti per le famiglie perché possano essere “presenti” nella vita dei figli; che le istituzioni educative rispettino la libertà religiosa ed educativa dei giovani e dei genitori; che i politici “offrano ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti” (n. 2).
Il Messaggio di quest’anno è anche un invito a un esame di coscienza a tutti i movimenti cristiani per la pace. Finora essi hanno devoluto il loro impegno a gridare contro le armi e i missili, le povertà e l’ambiente: tutte cose belle, ma forse hanno dimenticato che il primo contributo alla pace è testimoniare la verità, la loro stessa fede in Gesù Cristo.
Per leggere il Messaggio completo, clicca qui.
Di fronte alle attese frustrate, alle angosce, alle insicurezze vissute dai giovani, “dono prezioso per la società”, egli afferma che “non sono le ideologie che salvano l’uomo”, ma il “volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero” (n. 5).
Facendo questo, il papa va dritto in fondo alle cause profonde della crisi economica e umana attuale, affermando che “la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; [è] una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche” (n. 1).
Allo stesso tempo, proponendo ai giovani, alle famiglie, agli educatori e ai politici di riscoprire le radici religiose della giustizia e della pace, egli mette da parte, come ormai superato (ed era ora!), quel cristianesimo “dei valori”, secondo cui i cristiani si devono accodare nel sostenere insieme agli altri valori “laici” neutri, ma con motivazioni religiose e private, da tenere nascoste.
Per il pontefice la crisi economica e sociale che distrugge le speranze dei giovani e rende impotenti i vecchi, è il “relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio ‘io’. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune” (n. 3).
La lotta contro la “dittatura del relativismo” è un cavallo di battaglia di Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato. Ma in questo egli raccoglie anche il desiderio di molta cultura contemporanea. Il filosofo Jurgen Habermas – amico di Ratzinger – ha affermato diverse volte che per ridare sostanza alla cultura occidentale occorre ritornare a vivere “come se Dio ci fosse”, altrimenti l’edificio dei diritti e dei valori crolla come un castello di carte. Anche Julia Kristeva, invitata dal papa ad Assisi nell'ottobre scorso, vede nel superamento della “età del sospetto” e nell’apertura alla tradizione giudeo-cristiana la possibilità di superare il totalitarismo e le secche del secolarismo.
Per questo, per educare i giovani alla giustizia e alla pace, Benedetto XVI propone anzitutto di educare alla verità e alla libertà.
Il volto umano di una società – afferma il papa - dipende molto dal contributo dell’educazione a mantenere viva “l’insopprimibile domanda” sulla verità. Ma “per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura… È questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio” (n. 3).
“ ‘L’autentico sviluppo dell’uomo – sottolinea ancora - riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione’ inclusa quella trascendente, e che non si può sacrificare la persona per raggiungere un bene particolare, sia esso economico o sociale, individuale o collettivo” (n. 3).
Ciò porta a comprendere che la libertà “non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io. L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio” (n. 3).
“Il retto uso della libertà – conclude - è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la disponibilità al sacrificio” (n. 3).
Secondo il papa, solo in questo modo si supera la visione “contrattualistica” della giustizia, una “convenzione umana” che cerca la sintesi fra interessi individualisti, e si apre alla solidarietà e alla pace. Grazie al fondamento dell’amore di Dio, possiamo “educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti” (n. 5).
Mentre il mondo sembra sbigottito dall’ampiezza della crisi contemporanea e cerca soluzioni tecniche e materiali agli abissi economici, si ha l’impressione che il papa stia costruendo una nuova “città dell’uomo”, basata su un nuovo patto sociale, che ha il suo fondamento nella riscoperta di Dio e nella dignità degli uomini, immagine e somiglianza di Dio.
Ed è impressionante che mentre i governi accrescono tasse, Benedetto XVI domanda aiuti per le famiglie perché possano essere “presenti” nella vita dei figli; che le istituzioni educative rispettino la libertà religiosa ed educativa dei giovani e dei genitori; che i politici “offrano ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti” (n. 2).
Il Messaggio di quest’anno è anche un invito a un esame di coscienza a tutti i movimenti cristiani per la pace. Finora essi hanno devoluto il loro impegno a gridare contro le armi e i missili, le povertà e l’ambiente: tutte cose belle, ma forse hanno dimenticato che il primo contributo alla pace è testimoniare la verità, la loro stessa fede in Gesù Cristo.
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