Parte la corsa per il nuovo presidente iraniano: deve essere maschio, sciita, pio, ma soprattutto allineato al regime
Teheran (AsiaNews) - Non può essere cristiano, né ebreo, ma neanche sunnita, deve essere maschio, "pio", "degno di fiducia" e "diligente", venire dal mondo religioso o politico - non dalla "società civile" - avere "buona fama", essere "dotato di intraprendenza e capacità manageriali, non avere precedenti penali", "credere" nell'attuale sistema istituzionale ed essergli "leale". Sono i molti requisiti essenziali per essere in gara alle elezioni presidenziali in Iran. Il voto è previsto per giugno, ma ieri si è chiusa la prima fase, quella della presentazioni delle candidature. Migliaia, secondo i media nazionali.
Il possesso di tutti i requisiti, previsti dalla legge e precisati in televisione dal ministro degli interni Mostafa Mohammad-Najjar, verrà verificato dal Consiglio dei guardiani, che escluderà anche tutti coloro che sono "inadatti" alla presidenza. E' evidente che, al di là delle limitazioni che per legge escludono più di metà della popolazione - basta pensare alle donne e ai musulmani sunniti - l'ammissione dei candidati rappresenta già un primo momento di confronto politico.
Scottato da quanto avvenuto nel 2009, con la dura contestazione della vittoria di Ahmadinejad e la nascita dell'"Onda verde", la Suprema guida Ali Khamenei farà eliminare eventuali figure "riformiste" che abbiano reali possibilità di vittoria. Con i due leader dell'Onda verde Hossein Mousavi e Mahdi Karroubi ai domiciliari dal 2011 e l'ex presidente Mohammad Khatami sfiduciato e frustrate, e difficilmente in corsa, l'unico candidato ascrivibile a questo fronte, e che sarà probabilmente ammesso, è l'ex vicepresidente di Khatami Mohammad Reza Aref, poco conosciuto e quindi con scarso seguito.
In gara, concretamente, ci saranno dunque quasi sicuramente uomini dell'attuale leadership. Escluso per legge Ahmadinejad (non può correre per un terzo mandato) il fronte dei conservatori non è però compatto. Un'analisi condotta sul panarabo Asharq al-Awsat da un acuto giornalista iraniano, Amir Taheri, evidenzia quattro "tendenze" all'interno del blocco conservatore. La prima è guidata da Khamenei, ha il sostegno della Guardia della rivoluzione - che controlla anche larghi settori dell'economia nazionale - dei servizi di sicurezza e di quella parte della popolazione beneficiata dalle varie "fondazioni" che controllano parte dell'economia.
La seconda "tendenza" fa riferimento all'ex presidente Hashemi Rafsanjani e comprende ex funzionari, uomini d'affari e parte della classe media urbana che diffida del populismo di Ahmadinejad. La terza fa capo all'attuale presidente: la sostengono parte della pubblica amministrazione e della Guardia della rivoluzione e quei mullah che contestano Khamenei.
Il quarto gruppo è composto dai dissidenti, che ufficialmente professano lealtà verso la Suprema guida, ma lo accusano di aver istaurato un sistema dispotico con il sostegno dei militari e dei servizi di sicurezza. Sono i reduci dell'Onda verde e non potendo operare alla luce del sole è difficile valutarne il sostegno.
In questo quadro appaiono abbastanza infondate le speranze - occidentali, ma anche di gran parte del mondo arabo - di un sostanziale cambiamento di rotta della politica iraniana soprattutto per quanto riguarda la questione nucleare. Tutti coloro che hanno concrete speranze di vittoria - si parla dell'ex ministro degli esteri Ali Akbar Velayati, del sindaco di Teheran Mohammad Bagher Qalibaf e dell'ex capo della delegazione ai colloqui sul nucleare, Hasan Rouhani - sono graditi al regime e si sono espressi per l'"inalienabile" diritto del Paese ad arricchire l'uranio.
21/05/2013
07/12/2020 11:03