Papa: in Terra Santa, per parlare di riconciliazione tra tensioni politiche e religiose
Città del Vaticano (AsiaNews) - Venerdì prossimo, 8 maggio, Benedetto XVI parte per la Terra Santa: Giordania, Israele e Territori palestinesi. Sarà il terzo papa a recarsi in Terra Santa, dopo Paolo VI (1964) e Giovanni Paolo II (2000). Per lui sarà la quarta volta: c’è già stato nel 1964, nel 1992 e nel 1994, quando, tra l’altro, fece un importante discorso sulle relazioni tra Israele, la Chiesa e il Vaticano.
Sarà un viaggio grandemente desiderato e difficile, che cade in un momento particolarmente delicato della realtà del Medio Oriente. “Viaggio importante, interessante e molto complesso”, l’ha definito padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede. “Il Papa entra in una cristalliera molto delicata, dove le strumentalizzazioni sono sempre in agguato” ha detto da parte sua in un’intervista padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terrasanta. E “tutti si preparano ad accaparrarsi la parte migliore della torta che questa visita rappresenta...”, ha commentato da parte sua il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Foual Twal.
Politicamente, da una parte c’è l’accresciuta tensione dovuta alla creazione del governo di Benjamin Netanyahu. Fortemente condizionato dai partiti della destra più dura, ha praticamente bloccato i colloqui indiretti che erano in corso con la Siria, ha ampliato le divisioni con i palestinesi - anche con i “moderati” di Fatah - deluso le aspettative dei tanti arabi che speravano si potesse finalmente parlare davvero della pace, lasciato, alla fine, spazio ai seguaci delle farneticazioni estremiste dell’iraniano Mahmoud Ahmadinejad. E, due settimane fa, la visita dell'inviato statunitense in Medio Oriente, George Mitchell, ha fatto emergere la divergenza di vedute che c’è tra la presidenza Obama e il nuovo esecutivo israeliano sul tema dei due Stati, per palestinesi e israeliani.
Lo stesso mondo arabo è più diviso che mai. I processi in Egitto e in Giordania contro uomini accusati di far parte dell’estremismo sciita sono arrivati a poche settimane dalle elezioni di giugno in un Paese-chiave come il Libano e a quelle ad esse vicine del nuovo presidente iraniano.
Certo non sono questi i motivi della visita del Papa, che va per un pellegrinaggio. Ma sarebbe irreale non riconoscere le attese anche politiche che egli porta con sé. L’ha detto lui stesso, domenica scorsa, quando ha chiesto ai fedeli di pregare per la riuscita del viaggio: “Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa, che devono affrontare quotidianamente non poche difficoltà”. “Inoltre - ha aggiunto - mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura nella giustizia e nel rispetto reciproco. Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa”. “In modo speciale” ha, infine, chiesto di pregare per “il popolo palestinese, che ha subito grandi privazioni e sofferenze”. Dai palestinesi, nei giorni scorsi, è venute qualche polemica per la mancanza di una tappa a Gaza. Motivi di sicurezza, è stato detto. Un centinaio di cristiani di Gaza sarà comunque alla messa che il Papa celebrerà a Betlemme, mercoledì 13, ed esponenti politici della Striscia dovrebbero partecipare all’incontro con le autorità palestinesi, al termine della visita nella città ove nacque Gesù.
Se è certo che della situazione mediorientale il Papa parlerà col re di Giordania, il presidente e il primo ministro israeliani e il presidente palestinese, già si notano “gesti” che fanno pensare ad un “uso” della sua presenza, come la scelta di costruire, a Nazaret, il palco papale di fronte al muro di divisione o la notizia, attribuita allo Shin Bet, il servizio segreto israeliano, sui rischi per l’incolumità di Benedetto XVI proprio in quella tappa. Che è quella dove si attende il maggior numero di cristiani.
Proprio i cristiani saranno centrali nella preoccupazione di Benedetto XVI. Continuano a diminuire in tutto il Medio Oriente, anche in Libano, ove fino a qualche decennio fa erano maggioranza. Pochi, ferreamente controllati - in Siria - violentemente attaccati - in Iraq - marginalizzati ovunque. Profughi cristiani dall’Iraq dovrebbero essere alla messa che Benedetto XVI celebrerà, domenica, ad Amman. Verso i cattolici, poi, in Israele ci sono “ignoranza” e “intolleranza”. A dirlo, a metà aprile, è stato il rabbino Ron Kronish, co-direttore del Consiglio di coordinamento interreligioso di Israele. E se il governo - che ha stanziato più di 10 milioni di dollari per la visita – annuncia un’apposita emissione filatelica e ha anche creato un apposito sito web, nel quale si afferma che “Il pellegrinaggio di Sua Santità Papa Benedetto XVI in Terra Santa è un pellegrinaggio di pace e riconciliazione”, continuano a non dare risultati concreti le annose trattative con la Santa Sede per i beni della Chiesa e il loro regime giuridico e fiscale. Così come neppure si parla più della restituzione, alla Custodia, del Cenacolo, che nel 2000, in occasione del viaggio di Giovanni Paolo II, sembrava vicina.
La visita di Benedetto XVI, sul piano della conoscenza dei cristiani in Israele, sta producendo qualche effetto. Sui giornali israeliani compare qualche articolo in più sul cristianesimo. Haaretz, a metà aprile ha anche dedicato un articolo, non ostile, alla piccola comunità del Vicariato cattolico “che parla ebreo”, nella quale c’è anche “qualche sopravvissuto all’Olocausto” e che si raccoglie nella piccola chiesa di Santi Simeone e Anna, a Gerusalemme.
Il Papa non ci andrà: il programma, molto fitto, del suo viaggio prevede i Luoghi santi, da quello del battesimo sulla riva giordana del fiume, a Nazaret, a Betlemme e, a Gerusalemme, il Santo Sepolcro e il Cenacolo, ma anche alle sedi delle altre confessioni cristiane. Una connotazione ecumenica ed anche interreligiosa, in quanto Benedetto XVI andrà al Muro del Pianto - dove, come già Giovanni Paolo II, dovrebbe lasciare una sua preghiera – e si recherà dai due gran rabbini di Gerusalemme. Un incontro che ribadisce la fine delle polemiche scoppiate a inizio anno con la vicenda del vescovo lefebvriano negazionista Richard Williamson. Incomprensioni peraltro già superate con la visita in Vaticano, a marzo, di una delegazione del Gran rabbinato d’Israele e della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, l’istituzione della quale fu annunciata da Giovanni Paolo II nel 2000, proprio nella sede del Gran rabbinato, ove ora si recherà Benedetto XVI.
Quanto ai musulmani, Benedetto XVI si recherà alla moschea Al-Hussein Bin-Talal di Amman e alla Moschea della roccia di Gerusalemme. Di entrambi i luoghi vedrà i responsabili musulmani. Si tratta di due realtà diverse del mondo islamico, più dialogica la prima, più rigida la seconda. La Giordania, in particolare, è la patria del principe Ghazi bin Muhammad bin Talal, consigliere del re e promotore della Lettera intitolata “Una parola comune tra noi e voi” e detta dei 138, dal numero dei “saggi” musulmani che l’hanno firmata all’inizio. Da collocare tra gli effetti della lezione papale a Regensburg, essa resta un momento importante nella ricerca del dialogo tra cristiani e musulmani.
E’ un intrecciarsi di motivi religiosi e politici, nazionali e internazionali che rendono particolarmente difficile un viaggio che padre Lombardi ha definito “un atto di fiducia, atto coraggioso, testimonianza di impegno a portare il messaggio di pace e riconciliazione”.
10/03/2015