Papa: Il calvario di Giovanni Paolo II modello per gli operatori sanitari
Benedetto XVI addita il papa polacco che nella sua debolezza fisica e spogliato di tutto, è divenuto “come il suo unico Maestro e Signore, che dalla Croce è diventato punto di attrazione e di salvezza per l’umanità”. “Il mistero del dolore sembra offuscare il volto di Dio additandolo quale responsabile del soffrire umano, ma gli occhi della fede sono capaci di guardare in profondità questo mistero ”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “L’importante missione della Chiesa” nella pastorale sanitaria trova ispirazione nell’insegnamento del beato Giovanni Paolo II, ma soprattutto nella testimonianza del “lento calvario, che ha segnato gli ultimi anni” del pontefice, con una “visione del dolore e della sofferenza illuminata dalla morte e risurrezione di Cristo”. È quanto Benedetto XVI ha proposto oggi in un’udienza ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari.
L’incontro, apertosi due giorni fa in Vaticano, è alla sua 26ma edizione. Quella di quest’anno ha come titolo “La pastorale sanitaria al servizio della vita alla luce del magistero del beato Giovanni Paolo II” ed ha registrato la partecipazione di 685 persone, in rappresentanza di 70 Paesi.
Benedetto XVI ha ricordato l’impegno del papa polacco verso i malati, l’istituzione del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari nel 1985; la Lettera apostolica Salvifici doloris del 1986; l’indizione della Giornata mondiale del malato 20 anni fa; la fondazione “Il buon samaritano”, “come strumento di una nuova azione caritativa verso i malati più poveri in diversi Paesi”. Tutta la sua opera – ha spiegato il papa – rappresenta un “Vangelo della Vita” con cui “il beato Giovanni Paolo II ha proclamato che il servizio alla persona malata nel corpo e nello spirito costituisce un costante impegno di attenzione e di evangelizzazione per tutta la comunità ecclesiale, secondo il mandato di Gesù ai Dodici di sanare gli infermi (cfr Lc 9,2)”.
“La sofferenza – ha aggiunto Benedetto XVI, citando la Salvifici doloris - sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti, nei quali l’uomo viene in certo senso ‘destinato’ a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso”(n. 2).
E ha aggiunto: “Il mistero del dolore sembra offuscare il volto di Dio, rendendolo quasi un estraneo o, addirittura, additandolo quale responsabile del soffrire umano, ma gli occhi della fede sono capaci di guardare in profondità questo mistero. Dio si è incarnato, si è fatto vicino all’uomo, anche nelle sue situazioni più difficili; non ha eliminato la sofferenza, ma nel Crocifisso risorto, nel Figlio di Dio che ha patito fino alla morte e alla morte di croce, Egli rivela che il suo amore scende anche nell’abisso più profondo dell’uomo per dargli speranza. Il Crocifisso è risorto, la morte è stata illuminata dal mattino di Pasqua: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’(Gv 3,16). Nel Figlio ‘dato’ per la salvezza dell’umanità, la verità dell’amore viene, in un certo senso, provata mediante la verità della sofferenza, e la Chiesa, nata dal mistero della Redenzione nella Croce di Cristo, ‘è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza. In tale incontro l’uomo diventa la via della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti’ (Salvifici doloris, n. 3)”.
Ma è soprattutto la testimonianza personale degli ultimi anni della vita di Giovanni Paolo II a fare scuola: “La fede ferma e sicura ha pervaso la sua debolezza fisica, rendendo la sua malattia, vissuta per amore di Dio, della Chiesa e del mondo, una concreta partecipazione al cammino di Cristo fin sul Calvario. La sequela Christi non ha risparmiato al beato Giovanni Paolo II di prendere la propria croce ogni giorno fino alla fine, per essere come il suo unico Maestro e Signore, che dalla Croce è diventato punto di attrazione e di salvezza per l’umanità (cfr Gv 12,32; 19,37) e ha manifestato la sua gloria (cfr Mc 15,39). Nell’Omelia durante la Santa Messa di Beatificazione del mio venerato Predecessore ho ricordato come ‘il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una ‘roccia’, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno’ (Omelia, 1° maggio 2011)”.
Benedetto XVI ha ricordato agli operatori sanitari che “il servizio di accompagnamento, di vicinanza e di cura ai fratelli ammalati, soli, provati spesso da ferite non solo fisiche, ma anche spirituali e morali, vi pone in una posizione privilegiata per testimoniare l’azione salvifica di Dio, il suo amore per l’uomo e per il mondo, che abbraccia anche le situazioni più dolorose e terribili”.
E li ha esortati a fare “tesoro del testamento vissuto dal beato Giovanni Paolo II nella propria carne”, augurando a tutti di “scoprire nell’albero glorioso della Croce di Cristo ‘il compimento e la rivelazione piena di tutto il Vangelo della vita’ (Lett. enc. Evangelium vitae, 50). Nel servizio che prestate nei diversi ambiti della pastorale della salute, possiate sperimentare che ‘solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama’ (Lett. Enc. Deus Caritas est, 18)”.
L’incontro, apertosi due giorni fa in Vaticano, è alla sua 26ma edizione. Quella di quest’anno ha come titolo “La pastorale sanitaria al servizio della vita alla luce del magistero del beato Giovanni Paolo II” ed ha registrato la partecipazione di 685 persone, in rappresentanza di 70 Paesi.
Benedetto XVI ha ricordato l’impegno del papa polacco verso i malati, l’istituzione del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari nel 1985; la Lettera apostolica Salvifici doloris del 1986; l’indizione della Giornata mondiale del malato 20 anni fa; la fondazione “Il buon samaritano”, “come strumento di una nuova azione caritativa verso i malati più poveri in diversi Paesi”. Tutta la sua opera – ha spiegato il papa – rappresenta un “Vangelo della Vita” con cui “il beato Giovanni Paolo II ha proclamato che il servizio alla persona malata nel corpo e nello spirito costituisce un costante impegno di attenzione e di evangelizzazione per tutta la comunità ecclesiale, secondo il mandato di Gesù ai Dodici di sanare gli infermi (cfr Lc 9,2)”.
“La sofferenza – ha aggiunto Benedetto XVI, citando la Salvifici doloris - sembra appartenere alla trascendenza dell’uomo: essa è uno di quei punti, nei quali l’uomo viene in certo senso ‘destinato’ a superare se stesso, e viene a ciò chiamato in modo misterioso”(n. 2).
E ha aggiunto: “Il mistero del dolore sembra offuscare il volto di Dio, rendendolo quasi un estraneo o, addirittura, additandolo quale responsabile del soffrire umano, ma gli occhi della fede sono capaci di guardare in profondità questo mistero. Dio si è incarnato, si è fatto vicino all’uomo, anche nelle sue situazioni più difficili; non ha eliminato la sofferenza, ma nel Crocifisso risorto, nel Figlio di Dio che ha patito fino alla morte e alla morte di croce, Egli rivela che il suo amore scende anche nell’abisso più profondo dell’uomo per dargli speranza. Il Crocifisso è risorto, la morte è stata illuminata dal mattino di Pasqua: ‘Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna’(Gv 3,16). Nel Figlio ‘dato’ per la salvezza dell’umanità, la verità dell’amore viene, in un certo senso, provata mediante la verità della sofferenza, e la Chiesa, nata dal mistero della Redenzione nella Croce di Cristo, ‘è tenuta a cercare l’incontro con l’uomo in modo particolare sulla via della sua sofferenza. In tale incontro l’uomo diventa la via della Chiesa, ed è, questa, una delle vie più importanti’ (Salvifici doloris, n. 3)”.
Ma è soprattutto la testimonianza personale degli ultimi anni della vita di Giovanni Paolo II a fare scuola: “La fede ferma e sicura ha pervaso la sua debolezza fisica, rendendo la sua malattia, vissuta per amore di Dio, della Chiesa e del mondo, una concreta partecipazione al cammino di Cristo fin sul Calvario. La sequela Christi non ha risparmiato al beato Giovanni Paolo II di prendere la propria croce ogni giorno fino alla fine, per essere come il suo unico Maestro e Signore, che dalla Croce è diventato punto di attrazione e di salvezza per l’umanità (cfr Gv 12,32; 19,37) e ha manifestato la sua gloria (cfr Mc 15,39). Nell’Omelia durante la Santa Messa di Beatificazione del mio venerato Predecessore ho ricordato come ‘il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una ‘roccia’, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno’ (Omelia, 1° maggio 2011)”.
Benedetto XVI ha ricordato agli operatori sanitari che “il servizio di accompagnamento, di vicinanza e di cura ai fratelli ammalati, soli, provati spesso da ferite non solo fisiche, ma anche spirituali e morali, vi pone in una posizione privilegiata per testimoniare l’azione salvifica di Dio, il suo amore per l’uomo e per il mondo, che abbraccia anche le situazioni più dolorose e terribili”.
E li ha esortati a fare “tesoro del testamento vissuto dal beato Giovanni Paolo II nella propria carne”, augurando a tutti di “scoprire nell’albero glorioso della Croce di Cristo ‘il compimento e la rivelazione piena di tutto il Vangelo della vita’ (Lett. enc. Evangelium vitae, 50). Nel servizio che prestate nei diversi ambiti della pastorale della salute, possiate sperimentare che ‘solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama’ (Lett. Enc. Deus Caritas est, 18)”.
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