Ozernoe, il santuario mariano dei deportati polacchi in Kazakistan
Dal 1936, quando fu approvata la costituzione staliniana che proclamava le “libertà democratiche”, in decine di migliaia furono trasferiti dalle regioni ucraine di Vinnitsa, Žitomir, Kiev e Kirovograd fino al kolkhoz Avangard in mezzo alla steppa. Dove in nome di un moderno miracolo dei pesci oggi si venera la Regina della Pace, protettrice del Kazakistan.
Astana (AsiaNews) - Nel villaggio di Ozernoe nel nord del Kazakistan, tra le città di Petropavlovsk e Kokšetau, si erano stabiliti circa 90 anni fa dei gruppi di polacchi, deportati in mezzo alla steppa dall’Ucraina ormai sovietica. La prima grande ondata risale al 1936, quando fu approvata la costituzione staliniana che proclamava le “libertà democratiche”, mentre infuriavano il terrore, le repressioni e le deportazioni. Il 28 aprile di quell’anno furono raccolti 35.280 polacchi dalle regioni di Vinnitsa, Žitomir, Kiev e Kirovograd, e altri 60 mila arrivarono nel 1940-41 dai territori occupati dall’Armata Rossa.
Ad Ozernoe fu aperto il kolkhoz Avangard per la raccolta del grano, ma dopo la fine dell’Urss le attività agricole si sono bloccate, la maggior parte degli abitanti ha cercato di andarsene in posti migliori, e chi ha potuto è rientrato nella Polonia da cui derivavano i propri progenitori. Eppure, nel villaggio morente della steppa settentrionale c’è ancora vita, perché Ozernoe è diventato il principale luogo di pellegrinaggio dei cattolici del Kazakistan, e qui ne arrivano anche dalla stessa Polonia. Secondo la leggenda locale, quando nel 1941 i polacchi deportati stavano morendo di fame e di sete, vicino al villaggio si è formato improvvisamente un lago di acqua sorgiva, dove si agitavano i pesci. Gli affamati furono salvati, e il laghetto scomparve dopo qualche tempo.
I fedeli cattolici del luogo hanno subito pensato a un miracolo della Vergine Maria, che ha ascoltato le loro preghiere. Il luogo del bacino salvifico è stato chiamato Mariamkol, dove ora sorge un’alta statua della Madonna elevata nel 1997, benedetta dal santo papa Giovanni Paolo II prima di essere inviata sul luogo. Già nei primi anni ’90 era stata eretta una chiesetta, poi sostituita da un santuario piuttosto grande, dove vengono celebrate liturgie solenni con grande afflusso di pellegrini. Nel 2013 è stato consacrato l’altare “Stella del Kazakistan” con ardito disegno futurista e ornamenti di tradizione kazaca, per esprimere la relazione del mondo cattolico con il Paese che li accolti in circostanze così drammatiche.
Dal 2011 la parrocchia di Ozernoe è diventata ufficialmente il santuario nazionale della Madonna Regina della Pace, protettrice del Kazakistan. Ogni anno vi si recano migliaia di fedeli da tutto il Paese e dall’estero, rianimando il piccolo villaggio dei deportati, dove vivono ancora alcuni dei loro discendenti, che ora non hanno più intenzione di emigrare. In paese è stato anche costruito un albergo a tre piani, che non sempre basta ad accogliere tutti i visitatori. Nei giorni scorsi è giunto un gruppo di volontari dalla Polonia per risistemare il cimitero locale, dove sono sepolti molti dei “martiri” cattolici del Kazakistan, spesso soffocato dalle alte erbe della steppa.
I più anziani ricordano bene i racconti dei loro genitori, zii e nonni, e hanno un certo ritegno a comunicarli ai tanti visitatori, tra cui anche giornalisti e curiosi. Il regime di deportazione e di “limitazioni alle persone di nazionalità polacca” in questi luoghi fu cancellato solo nel 1956, dopo la morte di Stalin, e la riabilitazione è iniziata verso la fine dell’Urss, con un decreto del presidente Mikhail Gorbačev per il “riconoscimento dei diritti delle vittime delle repressioni politiche degli anni ’20-‘50”. Le cifre esatte dei deportati non sono facili da stabilire, tra le 100 e le 250mila persone; nel 1959 ufficialmente vivevano in Kazakistan 53mila polacchi, e attualmente ve ne sono 32mila che mantengono l’etnia sui documenti, per lo più nelle regioni settentrionali del Paese.
Come racconta ai giornalisti Ivan, polacco di 80 anni che è sempre vissuto ad Ozernoe, “in Polonia non avrei saputo che cosa fare, ci sono andato una volta e non mi è piaciuto… qui ci sono tutte le persone a cui voglio bene, almeno quelle che non sono partite”. Ivan lavora ancora nei campi, e alla domanda se non si senta stanco, risponde: “Come si può essere stanchi, in un luogo dove puoi parlare continuamente con Gesù e la sua santa Madre, per di più nella madrelingua polacca?”.
Foto: Catholic Information Centre of Central Asia/VaticanNews
02/08/2022 08:57