Natale, fonte della nostra speranza
Roma (AsiaNews) - Domani è Natale. Ancora una volta celebreremo la venuta di Dio nella carne umana, nella povertà e nella miseria della nostra condizione di esseri umani. Questo venire di Dio ad abitare fra di noi è la fonte della nostra speranza, la luce che viene a mescolarsi al buio delle nostre esistenze, che scende nel fondo degli abissi delle nostre vie spesso senza sbocco. Benedetto XVI ce ne ha dato ancora prova con la sua enciclica “Spe salvi” (Salvati nella speranza).
Ho partecipato da poco a un convegno sulla dissidenza sotto il comunismo sovietico. E sono stato colpito dallo strano legame fra il lager e la preghiera. Lo stalinismo, quasi per beffa, ha utilizzato i monasteri come prigioni e luoghi di tortura, trasformando le celle dove i monaci ortodossi si ritiravano per il silenzio, in prigioni dove si poteva con tranquillità, nel buio della sera, torturare e uccidere senza far udire le urla dei condannati. Uno studioso del periodo ha raccontato di un dissidente che si preparava a spogliarsi prima di essere sottoposto alla doccia per la disinfezione. Prima di lui, alcune persone mutilate, avevano lasciato, oltre ai vestiti, le protesi a sostegno del loro handicap, chi il braccio, chi la gamba. Giunto questo dissidente, le guardie, con disprezzo gli chiedono: “E tu cosa ci darai? La tua anima?”. Il dissidente, con calma serafica ha detto: “No. La mia anima è intoccabile: non vi appartiene”. È solo un esempio di come le situazioni più tragiche sono l’occasione di una riscoperta di quanto più profondo ci sia nella persona umana, di quell’elemento non commerciabile nella vita che è il nostro rapporto con Dio. La riscoperta dell’anima nel mondo materialista dello stalinismo è testimoniata da tanti scrittori, non ultimo Alexander Solzenicyn che con il suo “Arcipelago Gulag” ha raccontato al mondo gli abissi dell’abiezione a cui può giungere l’uomo, ma anche i vertici di santità che l’essere umano può scoprire nella sua vita piena di oppressione.
C’è una grazia che raggiunge il cuore anche nel lager. Lo stesso cardinale vietnamita Francesco Saverio Nguyen Van Thuan, morto il 16 settembre del 2002 a Roma, ce lo ha testimoniato tante volte. Divenuto vescovo ausiliare di Saigon pochi giorni prima della presa di potere del Sud Vietnam da parte delle truppe vietcong, dopo pochi mesi è stato arrestato e ha vissuto 13 anni in carcere duro e isolamento. Eppure il carcere è divenuta la sua nuova e feconda missione. “In quell’abisso della mia debolezza, fisica e mentale – racconta egli stesso - ho ricevuto la Grazia della Madonna. Non potevo più celebrare, ma ho recitato centinaia di volte l'Ave Maria, e la Madonna mi ha dato la forza di essere unito a Gesù inchiodato sulla Croce: ho sentito come Gesù abbia potuto salvare l'Umanità, lì, solo sulla Croce, nell'immobilità assoluta”.
Nel nostro lavoro di testimoni dei popoli e delle Chiese dell’Asia, molto spesso dobbiamo denunciare prigionie, violenze, guerre, commerci di vite umane. Ma esse sono solo un lato della medaglia. L’altra faccia parla di rinascita dell’uomo, di vitalità delle Chiese, di martirio e di fecondità. I molti segni di vitalità delle Chiese dell’Asia (in Iraq, Sri Lanka, Indonesia,Vietnam, Cina e perfino nella Corea del Nord) e la loro testimonianza di carità nelle loro società, ci confermano che Gesù è nato e non abbandona l’uomo a un destino tragico.
Per noi occidentali il Natale è troppo spesso una “festa senza il Festeggiato”, uno scambiarsi doni senza scambiarsi il vero Dono. Conoscere e condividere le esperienze di tanti nostri fratelli e sorelle in Asia, che raccontiamo ogni mese in queste pagine, è un modo per riscoprire in noi e nella nostra situazione la dignità e la bellezza dell’essere uomo, amato da Dio, fattosi così vicino a noi. Buon Natale.