Mons. John Tong, un nuovo cardinale per Hong Kong e la Cina
Città del Vaticano (AsiaNews) - Mons. John Tong Hon, 72 anni, vescovo di Hong Kong è fra i 22 prelati che domani riceveranno la berretta cardinalizia da Benedetto XVI. In un'intervista con AsiaNews egli si definisce "inadeguato" per la posizione a cui il papa lo ha chiamato, ma "pieno di gratitudine per questo onore", che mostra la considerazione che Benedetto XVI ha verso la Chiesa cinese. Attualmente vi sono infatti tre cardinali cinesi: oltre a mons. Tong, vi è il card. Joseph Zen (Hong Kong) e il card. Paul Shan (Kaohsiung, Taiwan). Mons. Tong afferma che essi possono "lavorare insieme", soprattutto nel rafforzare il ruolo di Chiesa-ponte fra i cattolici cinesi e la Chiesa universale. Mons. Tong ha seguito gli avvenimenti della Cina per decenni. Membro della Commissione vaticana per la Chiesa in Cina, egli fa un bilancio positivo del lavoro di tale Commissione che in pochi anni è riuscita a diffondere la Lettera del papa ai cattolici cinesi e a riconciliare sempre più le comunità sotterranee e ufficiali. Egli sottolinea che la Lettera di Benedetto XVI dice con chiarezza che l'Associazione patriottica - l'organismo di controllo della Chiesa - è da rifiutare perché "incompatibile con la dottrina cattolica e con la struttura cattolica".
Per il neo-cardinale i rapporti diplomatici fra Santa Sede e Cina non hanno importanza primaria e non devono assorbire tutte le energie della Commissione.
Il neo-proporato si associa alla preoccupazione di AsiaNews per i vescovi imprigionati o scomparsi nelle mani della polizia, ma confessa di avere un approccio più morbido verso le autorità cinesi: occorre costruire con essi una "buona relazione" e poi esprimere le nostre preoccupazioni. In ogni caso, non dobbiamo "mai cancellare dalla nostra memoria questi nostri fratelli". In passato AsiaNews ha già presentato una lunga intervista al card. Tong, appena divenuto vescovo ordinario di Hong Kong (v.: 30/04/2009 Mons. John Tong di Hong Kong, "uomo del dialogo" ma con "principi non negoziabili"). Ecco l'intervista completa rilasciata ad AsiaNews a poche ore dal ricevimento della berretta cardinalizia:
Card. Tong, come si sente in questa nuova responsabilità che il papa le ha conferito?
Mi sento molto inadeguato per questa posizione. Ma sono anche pieno di gratitudine per questo onore. Non ho nessun motivo per meritare questo: è stata una decisione del Santo Padre che vuole mostrare la sua considerazione per la Chiesa in Cina. È un vero incoraggiamento anche per la Chiesa di Hong Kong, perché continui il suo compito come "Chiesa ponte" con i fedeli della Cina popolare.
Il card. Joseph Zen di Hong Kong ha ormai 80 anni; il card. Paul Shan di Kaohsiung (Taiwan) ne ha 90. Entrambi non sono più voce attiva in un possibile conclave. La sua nomina cardinalizia mostra che il papa sembra non voler fare a meno di una voce della Chiesa cinese fra i cardinali.
Avere tre cardinali cinesi in contemporanea significa una grande gratitudine verso il papa e la sua attenzione alla Cina. Noi tre lavoriamo insieme. Del resto, non ha importanza se gli altri sono in pensione o no e non c'è il problema di essere anziani. Di una persona più anziana possiamo approfittare dalla sua sapienza. Il card. Zen lavora ancora molto e con decisione, e noi rispettiamo la sua opinione e la sua saggezza.
Del resto, la cultura cinese esalta la figura dell'anziano come chi ha una maggiore saggezza della vita...
Tutti noi vogliamo fare tesoro della loro esperienza. Non ha importanza quante parole si dicono: è importante la qualità di ciò che si dice. Perfino una sola parola può essere preziosa. Il card. Shan è molto impegnato nell'evangelizzazione a Taiwan e ancora adesso tiene ritiri, conferenze, incontri. E lo stesso si può dire del card. Zen, con la sua personalità piena di forza e di entusiasmo. Va in Europa, in America, ritorna ad Hong Kong e dopo una notte passata in aereo è subito pronto a incontrare persone, insegnare, ecc... È davvero più forte di me.
Come vede la Chiesa di Hong Kong e la sua funzione di "Chiesa-ponte" con i cristiani del continente? Come sarà il suo lavoro in questo campo adesso che è cardinale?
Dico subito che la Chiesa di Hong Kong non è fatta soltanto dal clero, ma anche dai laici: siamo una comunità e tutti siamo Chiesa, dalla persona al vertice fino all'ultimo cattolico. Ora che i cinesi godono di un po' più di libertà, vi sono diversi sacerdoti cinesi o gruppi di fedeli che vengono in visita ad Hong Kong. Da diversi anni abbiamo organizzato un team per il loro "benvenuto", per accoglierli e per far loro visitare le nostre comunità, il nostro centro di catechesi. In tal modo mostriamo loro come funziona la catechesi dei catecumeni, il contenuto del nostro insegnamento. Se poi sono persone che studiano teologia, seminaristi, sacerdoti, religiose, li invitiamo a visitare i conventi o il seminario, così possono paragonare la loro esperienza alla nostra. In tal modo loro imparano da noi e noi impariamo da loro. È anche un modo con cui cerchiamo di offrire loro anche un aggiornamento sull'insegnamento e sulla vita della Chiesa universale. Una volta vi erano diverse personalità di Hong Kong che andavano a insegnare in Cina; ora ce ne sono meno. Ma oggi vi sono molte più persone che vengono ad Hong Kong. Di fatto vi è uno scambio in due direzioni. Ormai Hong Kong, più che una Chiesa-ponte, si può considerare una Chiesa-sorella di quella della Cina. Il frutto di tutta questa semina non lo sappiamo, ma speriamo che sia abbondante.
Lei è da molto tempo membro della Commissione vaticana per la Chiesa in Cina, che esiste ormai da quasi 5 anni. Secondo lei quali sono i risultati ottenuti in questi anni per l'evangelizzazione della Cina e per una ripresa dei rapporti diplomatici fra la Santa Sede e Pechino? Quale pensa possa essere il suo contributo ora che è cardinale?
La Commissione ha prodotto molti risultati. Il gruppo è stato costituito dopo che il papa ha promulgato la sua Lettera ai cattolici cinesi nel giugno 2007. Nell'autunno dello stesso anno è stata varata la Commissione. Il nostro lavoro è strettamente legato a quella Lettera, che dà le linee guida di come affrontare alcuni temi nella vita della Chiesa in Cina.
La Lettera è formata da due parti. La prima tratta della dottrina cattolica e della struttura della vita della Chiesa. E per questo si cita il fatto che l'Associazione patriottica è incompatibile con la dottrina cattolica e con la struttura cattolica. In più nella Lettera si comunica al governo che la Chiesa non ha mire o interessi politici, ma incoraggia i suoi membri a migliorare la propria nazione e a dare un contributo alla società.
La parte seconda tratta della formazione dei sacerdoti, delle religiose e dei laici. Tutti abbiamo bisogno di formazione e una formazione che non si fermi al seminario, ma continui anche dopo. Noi dovremmo imparare tutta la vita. In tutti questi anni la Commissione ha ottenuto diversi ottimi risultati. Anzitutto abbiamo pubblicato un Compendio per spiegare con maggiore semplicità i contenuti della Lettera, mettendo in luce gli aspetti più importanti. In secondo luogo abbiamo cercato di aiutare la gente a ricevere tale messaggio e, in terzo luogo, di attuare il suo messaggio. Da tale lavoro abbiamo ricevuto anche domande e questioni sul modo in cui attuare le direttive della Lettera. Noi le raccogliamo e le presentiamo alla Commissione per trovare risposte illuminate dallo Spirito e convalidate dal papa.
Per quanto riguarda le relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e la Cina, va detto che questo elemento è solo una parte delle questioni. Prima di tutto dobbiamo agire sulla nostra vita; le relazioni diplomatiche vengono dopo e non possono assorbire tutto il quadro delle problematiche.
Partecipando alla Commissione ho imparato moltissimo e ne sono grato al Papa per avermi dato questa opportunità. Fra i risultati va aggiunto anche un migliore e più fraterno rapporto fra le comunità sotterranee e quelle ufficiali. Vi sono ancora tensioni e attacchi - soprattutto da parte della comunità sotterranea - ma si sono molto ridotte rispetto al passato.
Sui rapporti diplomatici non vi sono stati miglioramenti. Forse dobbiamo pregare di più e incoraggiare di più il governo ad accettare un dialogo.
Prima del Capodanno lunare, AsiaNews ha chiesto al governo cinese di liberare alcuni vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia o condannati ai lavori forzati senza alcuna accusa o processo. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta né dal governo di Pechino, né dall'ambasciata cinese a Roma. Anche la Chiesa di Hong Kong ha domandato molte volte la loro liberazione. Cosa possiamo fare per questi nostri fratelli perseguitati?
Anch'io ho le stesse vostre preoccupazioni, per il destino di questi nostri fratelli, soprattutto per i due anziani vescovi, Su Zhimin e Shi Enxiang. Ma ho un approccio differente dal vostro. Io cercherei anzitutto di migliorare il mio rapporto con le autorità cinesi. Dopo che ci siamo conosciuti e vi è una buona relazione, comincerei a esprimere le mie preoccupazioni per la prigionia di questi vescovi. Ad esempio, nel 2008 sono stato invitato a prendere parte alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Pechino. Io ho detto loro che ero molto felice dell'invito e che le Olimpiadi erano una grande occasione di gloria per la nostra nazione. Dopo che abbiamo stabilito un minimo di fiducia reciproca, ho detto loro che essendo cattolico, ero preoccupato per i vescovi cinesi che sono in prigione. E ho spiegato loro che questo fatto non è buono per la nazione. Se questi vescovi tornano a godere piena libertà e rispetto per i loro diritti umani, essi potrebbero dare un contributo ancora maggiore per la nazione. Nello stesso tempo, con la loro liberazione, la Cina potrebbe godere di una più alta reputazione nella comunità internazionale. Dovremmo anche pregare molto e mai cancellare dalla nostra memoria questi nostri fratelli.