Missionarie in Bangladesh a sostegno di famiglie e migranti
Dhaka (AsiaNews) - "Io ti amo, ti voglio sposare: ma devi liberarti di quel ragazzino": è questa la condizione che un uomo pone a Teresa (nome fittizio per ragioni di sicurezza), sua compagna, per regolarizzare la loro unione. La donna, una cattolica bengalese, non ha mai rivelato il nome del padre naturale di suo figlio. Il convivente però, indù di casta brahmina convertito al cristianesimo, non riesce ad accettare questo segreto: "Non so da dove viene, e questo mi dà fastidio". Teresa è una donna forte, resiste alla richiesta del compagno, ma fa fatica. Intervengono il padre di lei e alcune Missionarie dell'Immacolata (congregazione femminile legata al Pontificio Istituto Missioni Estere Pime), che operano al Centro Gesù lavoratore: insieme, parlano con l'uomo, cercano di fargli capire che il ragazzino non è un pacco di cui disfarsi. A poco a poco, l'uomo si rende conto del dolore che la sua richiesta ha provocato a Teresa, ma soprattutto al bambino. Oggi, i due sono sposati, il ragazzo ha 12 anni e due fratellini con cui giocare.
"È stato un percorso molto difficile - racconta ad AsiaNews suor Mariangela Colombo, missionaria dell'Immacolata che ha seguito da vicino la vicenda -. Abbiamo accompagnato Teresa e suo figlio passo dopo passo: dal rifiuto, al compromesso, fino alla piena accettazione. La cosa più terribile è stato vedere questo ragazzino in balia di forze che non sapeva gestire. Non conosceva suo padre; il convivente della madre non lo voleva, e lei era combattuta. Alla fine, incontrandosi spesso anche con il nonno del piccolo, quest'uomo ha capito, e hanno formato una bella famiglia".
Quella di Teresa e di suo figlio è solo una delle tante storie che ruotano attorno al Centro Gesù lavoratore, nato nel 1995 a Maripur, una zona alla periferia nord di Dhaka, su iniziativa di p. Gianpaolo Gualzetti e fratel Massimo Cattaneo (entrambi missionari Pime). L'idea alla base è di aiutare i tanti ragazzi e ragazze tribali che dai villaggi giungono nella capitale per cercare lavoro.
Suor Mariangela è in Bangladesh da 27 anni, e da 3 risiede al Centro. "Questo - spiega - è un luogo di passaggio. Vengono da noi migranti, provenienti da ogni angolo del Bangladesh, ciascuno con lingue, costumi, tradizioni e modi di mangiare diversi. Al loro arrivo in città sono del tutto spaesati, ma qui, anche se per poco tempo, trovano un punto di riferimento". L'impegno principale investe il campo dell'educazione: "Spesso, andiamo noi stesse nelle case o nelle baracche, e cerchiamo di portare i bambini a scuola, perché ricevano almeno un'educazione di base". Per i giovani lavoratori invece, ogni mese organizzano seminari, invitando esperti nel tema: "Abbiamo parlato di legge, di diritti del lavoratore, di droga, di relazioni, di Bibbia e anche di Corano".
Un altro "servizio" offerto è quello del saving account: una specie di deposito bancario senza interessi, che i giovani possono usare per mettere da parte i soldi dello stipendio. "Questo - sottolinea la religiosa - è un modo per tenerli 'legati' a noi, e insegnare loro il valore del denaro. Imparano a mettere i soldi da parte, per mandarli alla mamma rimasta al villaggio, al fratellino più piccolo perché possa studiare, oppure per comprare un terreno".
"So che possono sembrare cose piccole, ma qui c'è tanto bisogno di questo tipo di lavoro. E i giovani sono i primi ad apprezzarlo". Di solito infatti, anche una volta "finito" il periodo all'ostello, restano in contatto con le religiose. "Ci vengono a trovare, ci fanno conoscere la moglie o il marito, ci portano i figli. Si creano legami di fiducia e affetto".