Mine anti-uomo: 25 anni dopo l'Asia continua a produrle e usarle
La situazione più grave è quella vissuta dal Myanmar, dove sia l'esercito che i gruppi armati della resistenza fanno ampio utilizzo degli ordigni bellici. Quasi metà dei Paesi non firmatari del trattato internazionale sono in Asia o in Medio oriente. Nella regione la Cambogia è diventata leader delle campagne di sminamento.
Milano (AsiaNews) - A 25 anni dall’entrata in vigore della Convenzione sulle mine antiuomo di Ottawa, anniversario ricordato dal Papa durante l’udienza generale di questa settimana, in Asia continua la produzione e l’utilizzo degli ordigni, in particolare in Myanmar, dove dal 2021 è in corso un conflitto civile tra l’esercito birmano e i gruppi armati della resistenza.
Secondo un rapporto dell’Unicef relativo al periodo da gennaio a settembre 2023, almeno 858 civili sono rimasti feriti o uccisi a causa di munizioni inesplose, con un aumento del 220% rispetto alle vittime registrate dalle Nazioni unite nel 2022, quando erano state 390. Altri rapporti avevano segnalato per quell’anno un numero di morti pari a 384, con 124 feriti. Secondo l’Agenzia Onu per l’infanzia il 22% delle vittime sono bambini, contro il 34% del 2022. Una tendenza che probabilmente si ripeterà anche nel 2024: solo a gennaio di quest’anno sono state ferite o uccise almeno 22 persone in base ad alcune testimonianze di residenti locali.
La maggior parte degli incidenti sono avvenuti nella regione del Sagaing, importante teatro di scontri. Ma un rapporto pubblicato dal Landmine and Cluster Munition Monitor a dicembre 2023 sostiene che più della metà delle township (municipalità) del Myanmar sono a rischio contaminazione da residui bellici. È infatti noto che sia l’esercito del Myanmar che i gruppi etnici della resistenza abbiano utilizzato le mine antiuomo in tutto il Paese (mentre prima del conflitto civile gli ordigni bellici inesplosi si concentravano solo nelle aree di confine con gli altri Paesi, teatri di scontro tra il governo centrale e i gruppi etnici che lottavano per maggiore autonomia), spesso distribuendole intorno a obiettivi strategici (come torri di telecomunicazioni, miniere e gasdotti) nel tentativo di proteggerli dalla milizie. I militari hanno però cosparso di ordigni anche le aree intorno alle chiese e ai campi coltivati per evitare il ritorno degli agricoltori.
Il Myanmar non è firmatario della Convenzione di Ottawa, così come diversi Paesi dell’area dell’Asia-Pacifico, che insieme alla regione del Medio oriente e del Nord Africa, ospita il maggior numero di nazioni non firmatarie dell’accordo, proposto per la prima volta nel 1997. In altre parole, 14 dei 33 Paesi non firmatari si trovano in Asia. Il trattato vieta l’uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di mine antiuomo e obbliga i Paesi firmatari a ripulire le aree contaminate, assistere le vittime e distruggere le scorte nazionali.
In base ai dati più aggiornati, quasi tutti i Paesi che ancora si riservano il diritto di produrre mine antiuomo sono in Asia: si tratta di Armenia, Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord e del Sud, Pakistan, Russia, Singapore e Vietnam.Tra questi, si ritiene che l’India, l'Iran, il Myanmar, il Pakistan e la Russia ancora le producano attivamente e fino al 2021 anche la Corea del Sud rientrava in questo elenco. Secondo le stime, al giorno d’oggi meno di 50 milioni di ordini sono immagazzinati in 30 dei 33 Paesi non firmatari della Convenzione, che anche in questo caso sono tutti in Asia. I Paesi del sud-est asiatico, guidati dalla Cambogia, al contrario, si sono impegnati nelle attività di sminamento: nel 2022 Phnom Penh ha ripulito oltre 88 chilometri quadrati di territorio e ha ospitato a novembre 2023 il 21mo incontro degli Stati firmatari della Convenzione di Ottawa.
A pagare le conseguenze della diffusione delle mine antiuomo sono sempre in gran parte i bambini e in generale i civili, che in tutto il mondo sono state l’85% delle vittime su 4.710 persone morte o ferite da mine antiuomo nel 2022.