28/06/2024, 10.46
SRI LANKA
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Mannar: sacerdote in prima linea nella lotta per la restituzione delle terre

di Melani Manel Perera

Un gruppo attivisti e giornalisti ha incontrato p. Bastian Rocknadan, che si batte per il ritorno dei cattolici nel villaggio di Mullikulam. La controversia è divampata nel 1990, quando la Marina Militare si è impossessata dell’area costringendo gli abitanti alla spostamento forzato. A 15 anni dalla fine della guerra la questione resta irrisolta. 

Mannar (AsiaNews) - “Siamo ormai stanchi di parlarne e riparlarne da molti anni, partecipando alle riunioni, incontrando e seguendo alcune persone e supplicandole di restituirci la nostra terra. Fate qualcosa per il nostro popolo. A nome del nostro popolo, chiedete l’aiuto delle Nazioni Unite. Molte terre sono già state restituite, ma la nostra è ancora nelle loro mani”. A parlare è p. Bastian Rocknadan, sacerdote srilankese, che racconta ad AsiaNews la propria grande preoccupazione i suoi parrocchiani e la loro sorte da anni sospesa nell’incertezza e nella precarietà.

P. Rocknadan è sacerdote della chiesa di Nostra Signora a Mullikulam, nella diocesi di Mannar; nei giorni scorsi, il prete ha incontrato un gruppo di attivisti e di giornalisti del sud, guidati dalla Law and Society Trust (Lst) per parlare della annosa questione legata alle terre degli sfollati nella provincia del nord. La delegazione ha manifestato da qualche tempo interesse e preoccupazione per la questione delle terre degli sfollati del Nord e, per questo, ha visitato la comunità di sfollati di Mullikulam esprimendo preoccupazione e sgomento.

I cattolici tamil, infatti, considerano il villaggio parte integrante della comunità cattolica e tamil, oltre a essere parte di un’area ricca di terre, affacciata sul mare e con vaste coltivazioni di riso, confinante con il Parco Nazionale di Puttalama e Wilpattu nel distretto di Mannar. Nella zona sono dislocate 217 famiglie che hanno vissuto una vita prospera guadagnando dalla terra, dal fango e dalla pesca in mare aperto.

La controversia per le famiglie tamil è iniziata nel 1990, quando la Marina Militare si è impossessata della loro terra. “Siamo stati costretti a lasciare il nostro villaggio per la prima volta a causa della guerra civile” ha dichiarato Mariadasan Revel, un anziano del villaggio. Nel 2002, con la firma di un accordo di pace mediato dalla Norvegia, la popolazione locale ha iniziato a fare ritorno nei rispettivi villaggi di origine. Tuttavia nel 2007, quando i combattimenti si sono riaccesi, le persone si sono ritrovate senza nulla né risorse per vivere, sfollate nella giungla e in costante pericolo a causa di elefanti e serpenti.

Nel 2012 gli abitanti hanno tentato nuovamente di riavere il loro villaggio, ma ancora una volta hanno fallito nel loro interno. A metà giugno 2012, però, le famiglie sono state aiutate dal defunto mons. Rayappu Joseph e da altre persone che hanno abbracciato la loro causa a Colombo e Negombo, allo scopo di costruire capanne e alloggi temporanei con l’aiuto di rami, foglie di cocco e altro fogliame e rami. A fine di giugno di quell’anno, circa 100 famiglie sono arrivate nella giungla di Marichchikattu senza considerare alcun rischio e hanno iniziato a lottare per i loro terreni di origine. Nel 2012, anche il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, aveva raggiunto un accordo con Gotabhaya Rajapaksa, allora ministro della Difesa, e sono stati fatti alcuni passi avanti. Ciononostante, la risposta delle autorità è stata molto chiara e netta: “Non potete tornare alle vostre case”. Gotabhaya ha promosso in seguito la costruzione della base navale nel villaggio, realizzando al contempo 26 case per i residenti nell’area della giungla come compensazione.

“Sono trascorsi 15 anni dalla fine della guerra, ma non ci è permesso - sottolinea p. Bastian Rocknadan - di godere di questa libertà. Non abbiamo questa libertà. Lo dico perché siete venuti qui, soprattutto dalla provincia meridionale”. “Siamo felici della vostra attenzione nei confronti della nostra problematica” prosegue il sacerdote, verso la quale “abbiamo provato molte volte nel corso degli anni, ma non abbiamo ottenuto la soluzione di cui abbiamo bisogno”. Rivolgendosi ai giornalisti e attivisti provenienti da Colombo che lo hanno incontrato, p. Bastian chiede di alzare la voce. “Ridateci il villaggio di Mullikulam” chiede il sacerdote, che si dice convinto che “il governo restituirà le terre che sono state espropriate” indebitamente in passato. 

Proseguendo nella sua testimonianza, p. Bastian riferisce che gli abitanti di questo villaggio sono ora sparsi in quattro direzioni. Circa 40 famiglie vivono in India, altre 140 famiglie vivono a Kayakkuli e altre 50 famiglie vivono a Mannar. La speranza e la richiesta di tutte queste persone è di riavere il loro villaggio e di ricominciare lì la loro vita. “Insomma, non vogliamo altro: ridateci il nostro villaggio. Possiamo risorgere” aggiunge una coppia di anziani del villaggio di Mullikulam, i quali chiedono solo di poter “finire” la loro vita “villaggio in cui siamo nati”.

Sono passati 15 anni dalla fine della guerra civile in Sri Lanka, la cui ricorrenza è caduta nel mese di maggio 2024. Per molti anni, la principale richiesta della popolazione del nord e dell’est, così come dei politici, è stata quella di liberare le case e le terre degli abitanti, che erano state prese in consegna dall’esercito per motivi di sicurezza durante la guerra, per essere restituite ai residenti originari. La valutazione di questa richiesta legittima è stata estremamente lenta e a nulla sono valsi gli interventi e le pressioni locali e internazionali per ottenere una soluzione soddisfacente. Negli ultimi giorni sembra profilarsi una svolta, con un improvviso - seppur sempre lento e tardivo - risveglio della questione tornata di stretta attualità. 

Ecco dunque che anche il villaggio di Mullikulam, trasformato nel tempo in una base navale, chiede di essere restituito ai suoi proprietari. A partire dal 2009, 73016,50 acri di terra nella provincia del Nord e 12236,69 acri di terra nella provincia Orientale sono stati utilizzati per la creazione di campi dell’esercito, come ha rivelato una fonte militare responsabile dei rapporti con i media. Al momento sono stati liberati 63187,91 acri di terreno nel Nord che erano in possesso dell’esercito, mentre altri 9828,67 sono ancora sotto il controllo dei militari e attendono di essere liberate.

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