L'embargo di Pechino sulle terre rare e la partita sui semiconduttori
Nei giorni scorsi la Cina ha annunciato l’introduzione dell'obbligo di una approvazione speciale governativa per l’esportazione di germanio e gallio. Due metalli fondamentali nella produzione di microchip, fibre ottiche e pannelli solari. Sullo sfondo lo scontro a tutto campo con Washington e gli equilibri - precari - nel commercio globale. Ma l’embargo può essere un’arma a doppio taglio.
Pechino (AsiaNews) - La Cina (ri)lancia la guerra dei metalli con gli Stati Uniti, aprendo un nuovo fronte di uno scontro globale fra le due superpotenze che va da Taiwan allo spazio, dall’Asia-Pacifico all’influenza in Medio oriente, dalla supremazia militare alle nuove tecnologie, dai semiconduttori al predominio economico. Il ministero del Commercio e le dogane cinesi hanno annunciato che le esportazioni di determinati prodotti, in particolare gallio e germanio, richiederanno una approvazione speciale governativa a partire dal primo agosto, per “preservare la sicurezza e gli interessi nazionali”.
Secondo i dati dello Us Geological Survey, la Cina è il leader mondiale con il 98% della produzione di gallio e il 68% di germanio e persino gli Stati Uniti “dipendono” dal gigante asiatico per mantenere in vita la catena industriale. In gioco in questa sfida planetaria il primato in settori chiave per il futuro, con applicazioni che vanno dal campo militare ai supercomputer, all’intelligenza artificiale anche se - al momento - la partita è concentrata sulla transizione a una economia sostenibile, dall’elettrico al solare.
Le politiche di chiusura adottate dall’Occidente possono apparire come (tardiva) misura di difesa verso l’espansionismo delle aziende cinesi, capaci di bruciare la concorrenza - e di accaparrarsi risorse e giacimenti - grazie a sussidi, aiuti di Stato, protezionismo e nazionalismo industriale. Già in passato, infatti, la Cina si era scontrata con il Giappone per il predominio nel commercio e nell’estrazione dei metalli in Africa, continente dominato dal dragone, con il governo di Tokyo che risultava essere particolarmente esposto nelle industrie elettronica e automobilistica.
In settimana si è registrato l’ultimo atto di quella che, ormai, può essere definita a tutti gli effetti una guerra fredda fra Pechino e Washington (e alleati occidentali). Alla decisione dell’Olanda di aderire al blocco dell’export verso la Cina delle sue “super-stampanti”, necessarie per realizzare microchip avanzati, il dragone ha risposto imponendo l’embargo su gallio e il germano. Due materiali dall’ampio utilizzo per una produzione che va dai semiconduttori alla tecnologia avanzata, oltre alle fibre ottiche e ai pannelli solari fondamentali per l’energia verde in una fase di lotta ai combustibili fossili per contrastare i cambiamenti climatici. Al contempo la Cina ha scatenato le bocche di fuoco dell’informazione “di Stato” per colpire i rivali occidentali, con i principali quotidiani e agenzie che definiscono le restrizioni alle esportazioni di metalli rari come un “avvertimento” agli Stati Uniti.
Un editoriale del Global Times, voce del partito in lingua inglese, attacca Washington e alleati accusati di voler sopprimere il settore cinese, senza tenere conto del “potenziale danno” che la “cortina di ferro tecnologica può causare alle catene di produzione e alle industriali globali”. “Ora - prosegue la riflessione - la domanda è per quanto tempo” gli americani potranno “ignorare l’avvertimento” sulle “conseguenze” a fronte di azioni cinesi “legittime e ragionevoli” per salvaguardare "la sua sicurezza nazionale e i suoi interessi”. Una mossa, conclude il j’accuse di Pechino, che “potrebbe essere più di un avvertimento, dimostrando che la Cina non sarà passivamente spremuta dalla catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori”.
Sulla guerra delle tecnologie è intervenuto in questi giorni anche il China Daily, che cita un ex funzionario statale secondo cui gli ultimi tagli sono “solo l’inizio” delle contromisure che intende adottare Pechino. Wei Jianguo, ex vice ministro del commercio, evidenzia come “il controllo delle esportazioni (cinesi) dei materiali per la produzione di chip è stato un pugno pesante ben assestato” e nuovi provvedimenti andrebbero adottati sino a che non verranno rimosse le restrizioni a Pechino.
Analisti ed esperti sottolineano che l’embargo deciso dalla Cina, annunciato alla vigilia della festa dell’Indipendenza Usa del 4 luglio e pochi giorni dal viaggio del segretario del Tesoro Janet Yellen (iniziato oggi) è un “chiaro messaggio” all’amministrazione Biden. Da più parti si levano preoccupazioni sull’escalation della tensione, memori di quanto già avvenuto nella disputa con Tokyo, in una fase in cui Pechino ha ulteriormente rafforzato la leadership nel mercato mondiale di terre rare. Si tratta infatti della seconda, e più importante contromisura nella lotta fra le due potenze nel settore della tecnologia, dopo il divieto di acquisto alle aziende nazionali di chip della Micron a maggio. Sulla controversia è intervenuto lo stesso presidente Xi Jinping, il quale ha ripetuto il monito per un “funzionamento stabile e regolare del processo industriale e della catena di approvvigionamento” in un video-messaggio al summit Sco (Shanghai Cooperation Organization summit).
Difficile fare previsioni nel medio periodo, ma non è escluso che possano arrivare nuovi tagli, sanzioni, chiusure in una lotta globale che si fa sempre più serrata. Soprattutto in tema di terre rare che, spiegano gli esperti, pur non essendo difficili da trovare, presentano un processo produttivo complicato e dal pesante impatto ambientale. In quest’ottica gli analisti di Eurasia Group avvertono che il muro contro muro è “un’arma a doppio taglio”: come già osservato in passato, infatti, il tentativo del dragone di sfruttare il dominio nel settore ne ha ridotto la disponibilità e determinato un innalzamento dei prezzi, stimolando la concorrenza e rendendo più competitive le imprese minerarie e di trasformazione al di fuori della Cina.
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