La sfida morbida di Bush al regime di Pyongyang
Tokyo (AsiaNews) - "Stiamo lavorando strettamente con i governi dell'Asia per convincere la Corea del Nord ad abbandonare le sue ambizioni nucleari". Questa è l'unica frase che il presidente George W. Bush ha riservato a Pyongyang nel discorso sullo stato della nazione il 2 febbraio scorso. Per pronunciarla gli sono bastati 10 secondi, ma la brevità, in questo caso, non è affatto segno di irrilevanza. Anzi: ogni parola è stata studiata in modo che all'interlocutore principale, cioè Pyongyang, giungesse un messaggio non equivoco.
Bush ha evitato in modo accurato ogni espressione "ostile". Nel discorso alla nazione del 2002 aveva posto la Corea del nord nel triangolo dell' "asse del male" assieme a Iraq e Iran. Questa volta, pur accennando esplicitamente a governi in collusione con i terroristi (Iran e Siria), ha evitato di nominare la Corea del nord. Un tono così moderato, almeno apparentemente, ha sorpreso molti. Bush durante il primo termine presidenziale ha sempre usato espressioni dure verso il regime della Corea del nord e non ha nascosto le sue antipatie per il "caro leader" Kim Jong-il. Tuttavia si commetterebbe un grave errore se si interpretasse il riserbo dell'espressione come segno di cedimento.
Ragioni diplomatiche e strategiche hanno determinato il tono e il contenuto della frase. Alcune settimana prima, in un'intervista rilasciata all'emittente americana CNN, Bush ha riconosciuto di aver usato espressioni troppo "brusche" verso il regime di Pyongyang. Il linguaggio diplomatico non è cortina fumogena ma strumento indispensabile nei dialoghi internazionali. Qui il linguaggio è cambiato anche perché alla Casa Bianca sono cambiati gli equilibri nei confronti della Corea del nord: il Pentagono ha ceduto il passo al Dipartimento di Stato. Quando il presidente ha firmato la legge in favore dei diritti umani nella Corea del nord (ottobre 2004), i dirigenti nord-coreani sono andati su tutte le furie. Allora lo scorso gennaio un membro democratico del Congresso, Tom Lantos, promotore della legge, si è recato a Pyongyang dove ha avuto un colloquio con il ministro degli Esteri Paek Nam-sun. Questi gli ha detto che dirigenti nord-coreani desiderano essere trattati con simpatia e rispetto diplomatico e gli ha fatto capire che avrebbero ascoltato con molta attenzione il discorso del presidente. "Ho trasmesso il messaggio alla Casa Bianca, ha detto Lantos, e sono molto lieto che l'amministrazione ha seguito il mio consiglio".
La ragione strategica è una sola: costringere la Corea del nord a riprendere il dialogo nell'ambito della conferenza a sei sul nucleare, mediatrice la Cina. Gli altri partecipanti oltre la Corea del nord sono: Stati Uniti, Corea del sud, Giappone e Russia. Finora si sono tenuti due round. Al terzo, previsto per settembre scorso, Pyongyang ha rifiutato di partecipare adducendo come scusa l'atteggiamento "ostile" degli Stati Uniti. Il discorso correttamente diplomatico del presidente impedisce qualsiasi scusa.
Con una rapida iniziativa diplomatica, inoltre, Bush si è premurato di commentare la frase stringata ancora prima di pronunciarla. Nella settimana precedente il discorso, Michael Green, direttore per l'Asia del consiglio di sicurezza americana, si è recato a Tokyo, Pechino e Seoul con lettere personali del presidente per il primo ministro giapponese Junichiro Koizumi e il presidente sud-coreano Roh Moo-hyun. Il probabile scopo della missione è stato quello di informare i governi delle tre nazioni asiatiche che la Corea del nord ha venduto uranio alla Libia. Secondo il quotidiano The Washington Post il Dipartimento di stato ha scoperto la trattativa esaminando i documenti ottenuti dal colonnello Gheddafi, dopo che egli ha rinunciato al programma nucleare. Pyongyang ha sempre negato di avere uno stabilimento per la produzione dell'uranio.
La situazione di stallo nei rapporti tra Pyongyang e Washington è iniziata nell'autunno del 2002 proprio per questo problema. Ora sarà molto difficile se non impossibile, per i dirigenti dello stato comunista continuare nella tattica del temporeggiamento. Gli Stati Uniti con gli alleati asiatici, Cina compresa, stanno accelerando le manovre diplomatiche per riprendere i colloqui nel contesto della conferenza dei sei.
Il prossimo 9 febbraio il ministro degli esteri sud-coreano Ban Ki-moon si recherà a Washington per un incontro con il nuovo capo del dipartimento di stato, Condoleezza Rice; la conferenza a sei saranno l'oggetto principale del colloquio. In contemporanea alto ufficiale cinese si recherà a Pyongyang per lo stesso motivo. Molti analisti prevedono che la conferenza si riaprirà presto e che, questa volta, avrà risultati concreti.