23/08/2022, 08.24
RUSSIA
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La morte di Kononov, il giudice costituzionale che criticò le leggi speciali cecene

di Vladimir Rozanskij

Morto a 75 anni, era una delle personalità più autorevoli della magistratura russa. Il ricordo della sua battaglia contro il ritorno al regime sovietico. Egli è stato co-firmatario della legge sulle vittime delle repressioni politiche degli anni ‘90. Una personalità in netta contrapposizione a Putin. 

Mosca (AsiaNews) - Una settimana fa, a Ferragosto, è scomparso a Mosca all’età di 75 anni Anatolij Kononov, giudice costituzionale in pensione, che ha rappresentato per molti anni la “resistenza del diritto” ai tentativi di restaurare varie forme di dittatura in Russia, tanto da essere chiamato “cavaliere del dissenso giuridico”. Molti lo hanno ricordato in questi giorni, di fronte all’evidente sconfitta della sua epica lotta, che ha però lasciato un’inesauribile fonte di energia in molte persone che non accettano di tornare ai tempi sovietici.

Kononov è stato autore, insieme a Sergej Kovalev e Arsenij Roginskij, della famosa legge sulle vittime delle repressioni politiche negli anni ’90. Una norma che ha costituito di fatto l’unico vero tentativo di purificare la memoria dopo settant’anni di oppressione, condannando il regime sovietico come “colpevole di persecuzioni di massa del proprio popolo”. Nelle sessioni della Corte Costituzionale faceva mettere a verbale le sue “opinioni particolari” in contrapposizione ai tentativi di ridurre i diritti e le libertà dei cittadini, affermando sempre che a lui non interessava “l’equilibrio tra gli interessi privati e quelli pubblici”, motivazione di ogni legge in favore del regime al potere, ma la difesa dei diritti della persona.

Era di fatto una “mosca bianca” (in russo “corvo bianco”, belaja vorona), e i colleghi magistrati lo rimproveravano continuamente: “Tu non sei un giudice, ma un attivista umanitario”, perché non metteva al primo posto gli interessi dello Stato. Il presidente della Corte, Valerij Zorkin, gli diceva che “è ora di maturare, tu difendi i criminali e gli oligarchi, basta giocare con questi diritti degli individui”, e ora si comprende meglio quanto radicale fosse questa contrapposizione, a fronte della “grande guerra contro il liberalismo” annunciata da Vladimir Putin e dal patriarca Kirill.

Egli stesso spiegava i motivi del suo dissenso rispetto ai colleghi, i quali interpretavano il diritto con criteri positivisti, come “insieme delle leggi in vigore”, mentre egli si atteneva alla concezione del diritto naturale, come “insieme dei principi di libertà, uguaglianza e giustizia”. Se le leggi sono quelle esistenti, visto che sono approvate dallo Stato, significa per i positivisti che anche i diritti delle persone devono essere decisi dallo Stato, mentre Kononov affermava che proprio la Corte Costituzionale deve illuminare le leggi con i principi fondamentali dell’esistenza umana, ultimo baluardo prima di cedere all’arbitrio di Stato o di rivolgersi ai tribunali internazionali, anch’essi fonti di valutazioni ambigue.

Rimase famoso anche il suo parere ufficiale contro le motivazioni dello scioglimento del Pcus, il partito comunista sovietico, che si basavano su argomentazioni generiche senza dare una valutazione delle attività del partito. Ciò avrebbe potuto “provocare interpretazioni faziose sul ruolo del partito, senza dare garanzie di evitare la sua ricostituzione”. Infatti nel 1996 il partito rinacque come Kprf, proponendo la prima restaurazione di regime contro Eltsyn e spianando la strada alla “Russia Unita” di Putin mentre Kononov, come ricorda il giurista Nikolaj Bobrinskij, aveva posto l’obiettivo della “garanzia di non ripetizione” del totalitarismo statale.

Il difensore dei diritti si oppose anche ai “decreti ceceni” di Eltsyn, che alla fine degli anni ’90 concedevano al governo poteri illimitati nei confronti di militari e civili, poteri che sono stati consegnati nelle mani di Putin nel 1999. Anche in questo caso il suo “parere particolare” insisteva sul fatto che “la trasformazione di un soggetto in oggetto di misure coercitive, anche se con motivazioni etiche, si contrappone al fondamento intoccabile dei suoi diritti: la dignità della persona”. Molti i suoi interventi in questo senso, poi raccolti nel libro Osoboe mnenie (“Parere speciale”), finché nel 2009 è stato costretto a lasciare prematuramente il suo incarico alla Corte Costituzionale. Già allora il suo addio viene considerato da molti come “la rovina della giustizia in Russia”, e ora si vedono le conseguenze, nelle rovine catastrofiche della guerra di Stato.

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