30/03/2022, 08.47
RUSSIA
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La fedeltà dei russi all’estero

di Vladimir Rozanskij

Proposta modifica di legge che richiede loro l’obbligo di conoscere il russo.  Una fedeltà di “anima e sangue” alla patria come risposta alla “russofobia”, cresciuta dopo l’attacco all’Ucraina. Sarà aumentata la difesa dei diritti dei “compatrioti” grazie a rappresentanze politiche, giuridiche, sociali e religiose nei Paesi stranieri.

Mosca (AsiaNews) – Il primo vice presidente del comitato della Duma di Mosca per gli affari della Csi, la Comunione degli Stati Indipendenti” di post-sovietica memoria, Konstantin Zatulin, ha sottoposto al Parlamento una modifica alla legge sulla “politica statale della Federazione Russa nei confronti dei connazionali all’estero”. La principale novità consiste nella richiesta obbligatoria a tutti i russi all’estero di “possedere la lingua statale”, cioè il russo.

È una delle necessarie ridefinizioni globali del “mondo russo”, non tanto nella sua estensione, ma nella sua determinazione fedele, in modo da consentire alle autorità di Mosca di agire in maniera legale e costituzionale in difesa dei compatrioti in qualunque parte del globo. La legge a cui fa riferimento Zatulin è in vigore da più di 20 anni, ma appare superata dagli ultimi eventi, che introducono altre caratteristiche nella specificazione dei “russi all’estero” e del loro legame con la madrepatria.

Viene tolto dal testo il riferimento alla precedente cittadinanza sovietica, che dava comunque accesso a quella russa attuale, poiché “nei 30 anni trascorsi dalla fine dell’Urss è ormai cresciuta una nuova generazione di connazionali”. Oggi sono definiti “persone residenti all’estero in possesso della lingua russa, di origine dai popoli storicamente viventi sul territorio della Russia, che abbiano liberamente compiuto una scelta in favore delle relazioni spirituali, culturali e giuridiche con la Russia, e i cui progenitori in linea diretta siano nati o abbiano precedentemente abitato sul territorio russo”.

Una fedeltà di “anima e sangue”, in cui si uniscono le derivazioni “sovietiche” con le emigrazioni recenti in nuove categorie storico-sociali da applicare caso per caso, regolarizzando anche chi abbia assunto cittadinanze diverse o sia rimasto senza cittadinanza per interruzione con il legame russo e sovietico. Il possesso della lingua è decisivo, come ha spiegato Zatulin, per poter “attivare l’obbligo costituzionale da parte dello Stato russo a garantire l’identità culturale russa comune”. Questa nuova definizione di “compatrioti” permetterà alla Russia di intervenire all’estero con tutte le necessarie procedure, a seconda delle circostanze, oggi particolarmente acuite dalla diffusione della “russofobia” come conseguenza della guerra in Ucraina, ma in realtà già diffusa in molte parti del mondo, come denunciato in questi giorni da molti politici russi.

Viene proposta una lista dei “popoli storici” della Russia, a cominciare in primo luogo dai russi, bielorussi e ucraini, quindi dalle “nazionalità interne alla Federazione Russa”, le “minoranze sparse sul territorio” e infine “altri popoli storicamente associati”, categoria che aprirebbe la strada a qualunque etnia che possa giustificare una “sintonia spirituale” con i russi in tutti continenti.

La difesa dei diritti dei “compatrioti” spingerà i russi ad aumentare le proprie rappresentanze politiche, giuridiche, sociali e religiose, come già sta avvenendo con le varie strutture del patriarcato di Mosca in Asia, Africa e tanti altri Paesi. Tra i “veri russi” all’estero si potranno selezionare i candidati a tali rappresentanze, e anche al controllo di coloro che si volessero ingiustamente appropriare dell’identità, distinguendo ovunque il “popolo autentico” da quello fasullo, secondo l’espressione entrata in voga grazie all’operazione militare in Ucraina.

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