02/10/2006, 00.00
INDIA - CINA
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L'India esclude ditte cinesi da opere primarie per i porti e le telecomunicazioni

Le esclusioni fondate su non chiarite ragioni di "sicurezza". Critico il Partito comunista indiano, mentre fonti cinesi esprimono "preoccupazione".

New Delhi (AsiaNews) – Si temono "problemi" nei rapporti tra India e Cina, dopo che le autorità indiane hanno vietato a ditte cinesi investimenti nelle telecomunicazioni e nei porti.

Ad agosto il governo di Kerala si è rifiutato di aggiudicare il contratto per la costruzione del terminale internazionale di trasbordo nelle acque profonde del porto di Vizhinjiam, vicino Thiruvananthapuram, dopo che era stato vinto da un consorzio di due imprese cinesi – la Kaidi Electric Power Company e la China Harbour Engineering Company — insieme alla Zoom Developers di Mumbai.

Il 27 settembre alcuni partiti hanno criticato la decisione. Il Partito comunista indiano (Cpi), il cui appoggio è cruciale per la maggioranza parlamentare, ha chiesto al governo di spiegare che problema di sicurezza rappresentino le ditte cinesi in questi settori. Prakash Karat, segretario generale del Cpi, ha commentato che simili decisioni non sono in linea con la politica estera del governo, che favorisce più stretti rapporti con Pechino.

Il 25 e 26 settembre, durante  un incontro tra esponenti di primo piano dei due Paesi, fonti cinesi hanno espresso "preoccupazione" per questi episodi.

All'inizio di settembre le autorità centrali hanno ammonito i comandanti dei porti di Chennai e di Mumbai di non accogliere l'offerta della Hutchison Port Holdings di Hong Kong per la costruzione di nuovi terminal per i containers, per non specificate "ragioni di sicurezza". Questa ditta ha già operato in 27 porti internazionali e per questa opera si era associata con una ditta indiana. Il ministro indiano per la Marina ha spiegato che la ditta non ha dato "adeguate garanzie".

L'India ha in corso un ambizioso programma per modernizzare i porti e costruirne di nuovi e le ditte cinesi temono di essere tagliate fuori. Fonti autorevoli cinesi, riportate dai media indiani, notano che Delhi ha aperto agli investimenti stranieri i settori portuale e delle telecomunicazioni e che "è ingiusto escludere le imprese di un solo Paese".

L'India minimizza il problema ed evidenzia che si tratta di "pochissimi casi", ma fonti cinesi rispondono che ci sono anche "conseguenze psicologiche" e ricordano che ditte indiane operano investimenti in Cina senza restrizioni per circa 200 milioni di dollari Usa, mentre quelle cinesi hanno potuto investire in India un decimo della cifra. Ricordano che la Huawei Technology, ditta di telecomunicazioni di Shenzhen, opera da anni in India e ha 800 impieganti nel Bangalore, ma ora non le è stato consentito di investire 60 milioni di dollari per aprire un nuovo centro.

Gli uomini d'affari cinesi, inoltre, hanno difficoltà a ottenere visti per periodi maggiori di 3 mesi. "Nel 2005 – dice la fonte – 350 mila indiani hanno visitato la Cina, ma ci sono stati solo 50 mila visitatori cinesi in India. Certo, la richiesta è minore, ma ci sono anche grandi difficoltà a ottenere il visto".

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