Iraq, card. Sako: se Roma tace a rischio il futuro dei cristiani iracheni
Il porporato ripercorre le ultime drammatiche settimane dal ritiro del decreto presidenziale dietro pressioni di sedicenti leader (al soldo di Teheran). Sul futuro della comunità una minaccia “più subdola”, ma con la stessa logica dell’Isis: cacciare i cristiani. L'amarezza per l'incontro col papa (al termine di un'udienza generale) di Rayan il Caldeo, che in Iraq adesso sta dicendo che Sako non è più il patriarca. Costretto a rinunciare alla presenza all'incontro dei vescovi del Mediterraneo a Marsiglia per le denunce nei tribunali, parte di questa campagna contro di lui.
Milano (AsiaNews) - Preoccupato per il futuro dei cristiani che oggi devono affrontare una “minaccia diversa”, ma non per questo “meno grave” rispetto a quella rappresentata dallo Stato islamico. Amareggiato per il silenzio della Santa Sede di fronte alle mistificazioni di Rayan il Caldeo, il leader di una milizia locale sedicente cristiana (ma al soldo di Teheran) che ne contesta apertamente la legittimità. Ma anche consapevole del sostegno di una comunità, quella cristiana irachena, e della vicinanza del mondo musulmano, per una lotta che abbraccia il futuro stesso del Paese e dei suoi abitanti. È lo stato d'animo che il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, confida in questa intervista ad AsiaNews in cui ripercorre le ultime, drammatiche settimane contraddistinte da calunnie, attacchi personali, minacce, ricorsi in tribunale e lo scontro frontale col presidente della Repubblica. Proprio per le udienze in tribunale che sono parte di questa campagna non è potuto partire per prendere parte all'incontro dei vescovi del Mediterraneo a Marsiglia, dove venerdì e sabato si recherà papa Francesco.
Come si ricorderà a metà luglio il porporato aveva trasferito in via temporanea la sede patriarcale dalla capitale a Erbil, nel Kurdistan iracheno, per protesta contro l’annullamento da parte del capo dello Stato del decreto - che riguarda “la sola Chiesa caldea, ed è questa la questione di fondo” precisa il patriarca - che ne riconosce il ruolo e l’autorità. Una decisione sorprendente: Abdul Latif Rashid, infatti, ha sconfessato una tradizione secolare colpendo la massima autorità cattolica locale, che è anche responsabile della gestione del patrimonio e dei beni ecclesiastici. Ed è qui che ruota la questione: il controllo delle proprietà finite nel mirino del sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo” e delle milizie filo-iraniane che lo sostengono (una galassia variegata che comprende sciiti, cristiani, sunniti...), minaccia per la pace e la convivenza per la nazione. In risposta, il cardinale non ha escluso il boicottaggio delle prossime elezioni.
Ecco, di seguito, l’intervista al patriarca caldeo:
Beatitudine, da settimane sta conducendo una battaglia personale e a nome di tutta la comunità cristiana - per la sua stessa sopravvivenza - contro le massime istituzioni irachene e sedicenti leader cristiani. Come spiega questa vicenda?
Alla base vi è un progetto che ha come obiettivo quello di far tacere la voce della Chiesa e della mia persona. In questi 10 anni da patriarca [la nomina risale al gennaio 2013, ndr] ho sempre difeso i diritti umani, senza distinzioni di fede o appartenenza etnico-religiosa, ho cercato di proteggere i cristiani e non ho mai voluto giustificare la formazione di una milizia cosiddetta “cristiana”. Ho rifiutato tutto questo, da qui nasce il proposito di vendetta da parte di una fazione [le Brigate Babilonia di Rayan al-Kildani] che ha uno scopo ulteriore: spingere i cristiani a partire, fare in modo che emigrino per impossessarsi delle loro case, beni, proprietà. Anche per questo si vuole creare un ambiente non stabile, anche per questo viene osteggiata l’idea di cittadinanza che da sempre rivendico come base per l’appartenenza alla nazione. Tuttavia, nel Paese prevale una mentalità settaria in cui si lotta per avere più potere, visibilità e guadagnare di più. Non vi è la volontà di costruire uno Stato fondato su diritto e giustizia, ma prevalgono confusione e anarchia.
Una confusione che emerge anche nei ruoli e nei poteri delle massime istituzioni?
Questo è uno degli elementi di fondo: il presidente della Repubblica non ha il potere di ritirare decreti emessi in passato, può emetterli ma non può certo cancellarli in modo arbitrario. Andando peraltro contro una tradizione secolare, che risale al tempo del califfato abbaside, poi all’impero ottomano, infine la Repubblica. In un secondo il capo dello Stato ha inteso cancellare 14 secoli di storia e tradizione, ma io non ho paura e non ho nulla da perdere… forse la vita, ma sono pronto anche a questo. Tutto ciò viene fatto per intimidire i cristiani, per fare in modo che lascino il Paese ed è per questo che io li incoraggio nuovamente, e con maggiore forza, a restare e sperare!
La sua, quindi, è una lotta fondata sul diritto a favore di tutto il Paese, non solo per i cristiani…
Certo! Io non mi sto battendo solo per loro, ma per tutti gli iracheni. E devo riconoscere che, come popolo, la comunità cristiana è al mio fianco e mi sostiene in questa lotta. Non solo, di recente anche un gruppo formato da 13 avvocati musulmani ha presentato una petizione presso la Corte suprema contro il ritiro del decreto presidenziale deciso dal presidente della Repubblica. In questa fase sperimentiamo una coesione, un sostegno forte e una unità a livello di popolo e di comunità cristiana, mentre vi sono divisioni fra le Chiese. Un esempio fra i tanti, le parole di un patriarca che ha definito ‘saggio e con visione chiara’ il presidente della Repubblica, o altri ancora [vescovi e sacerdoti] che traggono profitto dalla vendita di case e di beni.
Dopo l’invasione Usa, la scia di attentati e violenze e l’ascesa dello Stato islamico, con la sua logica di terrore e morte, una nuova minaccia incombe sul futuro?
Questo è un altro stile, un’altra modalità forse più nascosta e subdola ma con lo stesso obiettivo: spingere i cristiani a partire. Un approccio diverso dall’Isis, ma con la medesima logica di fondo.
Vi sono realtà, istituzioni, anche all’interno della Chiesa, dalle quali si aspettava maggiore solidarietà e vicinanza?
Sono deluso dalla posizione della Santa Sede, che in quasi cinque mesi non è intervenuta per sconfessare l’operato del presidente della Repubblica, per respingere gli attacchi contro la persona del patriarca, per prendere le distanze da chi si definisce leader cristiano. La visita a Roma di questo signore [il riferimento è al “breve saluto di circostanza” di Rayan il caldeo al termine di un'udienza generale a inizio settembre, come descritto successivamente in una stringata nota di chiarimento vaticana ndr] e l’incontro con papa Francesco in piazza San Pietro al termine dell’udienza del mercoledì. Che egli ha poi rilanciato a gran voce sui propri canali social, cercando legittimazione usando una autorità ecclesiale ma finendo per mostrare una profonda ignoranza perché ha parlato di Angelus… il mercoledì! Le sue parole sono state un vero e proprio shock per cristiani e musulmani in Iraq, perché si è presentato una volta di più come il vero rappresentante dei cristiani; lui e non il patriarca di cui [secondo quanto dice Rayan il caldeo] il papa avrebbe accettato le dimissioni. Stare in silenzio di fronte a queste dichiarazioni è inammissibile.
Il silenzio finisce per legittimare gli attacchi contro la sua persona e l’intera Chiesa caldea?
Esatto! La Santa Sede poteva prendere parola, dire che la propaganda di questo signore non è vera, poteva cercare di calmare la gente, i moltissimi cristiani e musulmani in Iraq che stanno soffrendo per questi nuovi attacchi, per queste bugie che fanno del male prima di tutto alla nostra comunità. Il nunzio apostolico mi invita a dialogare, a non umiliare il presidente… ma qui è il presidente a umiliare la Chiesa e il suo popolo. Dice che bisogna lasciare il decreto e accettare una sentenza del tribunale. Ma deve capire la mentalità locale e sostenere la Chiesa: poteva smentire la strumentalizzazione e le bugie di Rayan, chiedere ai vescovi che ricevono soldi da lui di fermarsi, trovare una soluzione che non fosse contro la Chiesa caldea.
Con cadenza quasi settimanale ormai vengono presentate denunce a mio carico nei tribunali, e nei prossimi giorni dovrò presentarmi in aula e non potrò partecipare ai “Rencontres Méditerranéennes” a Marsiglia. Ho scritto a papa Francesco dopo la visita di Rayan in Vaticano, non ha ancora risposto. Siamo una Chiesa perseguitata, da tempo… che lotta per sopravvivere ma per far questo abbiamo bisogno anche di sostegno, vicinanza, solidarietà.
In questa prospettiva il Sinodo in programma a Roma, a ottobre, potrà essere di aiuto?
La nostra è una questione particolare, ma il Sinodo può essere comunque di aiuto per trovare una soluzione. La Chiesa deve mostrare la propria presenza, la vicinanza, deve trovare la parola che è stata fortemente carente sinora. La Chiesa sono i suoi credenti.
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