Inquinamento in Cina, la rabbia del popolo e l’ipocrisia del regime
Ieri le maggiori città settentrionali del Paese sono state bloccate di fatto dalla nebbia e dalla pesante coltre di fumi industriali. Su internet esplode la rabbia della popolazione: 4,4 milioni di messaggi per biasimare la situazione. A Durban Pechino “apre” a sorpresa a un accordo sui limiti della produzione di CO2, ma solo per placare gli animi e mettere in ginocchio gli Usa.
Pechino (AsiaNews) - L’inquinamento e le condizioni climatiche della Cina hanno messo in ginocchio Pechino e alcune fra le maggiori città del Paese. Mentre il governo presenta delle aperture di facciata alla Conferenza internazionale sul clima di Durban, esplode la rabbia dei cinesi su internet: critiche alla gestione dei fumi industriali che, secondo gli internauti, sono la vera causa di malattie e disagi sempre più frequenti nel Paese.
Ieri pomeriggio all’aeroporto di Pechino, il secondo scalo del mondo, erano stati ritardati di almeno un’ora 126 voli; altri 207 erano stati cancellati. Spessi banchi di nebbia misti a intenso smog hanno causato altre centinaia di cancellazioni di voli e ritardi nella Cina settentrionale e la chiusura delle autostrade che attraversano le province dello Shandong e dell’Hebei. Il cielo della capitale cinese era così scuro che molti conducenti hanno tenuto accese le luci tutto il giorno, dando alla città un’atmosfera surreale. “Sembra la fine del mondo”, ha commentato un blogger di nome David Jiaoxiaomao.
Il problema dell’inquinamento è stato il più trattato su internet: 4,4 milioni di messaggi sul servizio di microblogging principale del paese, Sina Weibo. Un utente, Hu Yueyue, ci ha messo 24 ore per andare da Pechino a Shenzhen (di solito ci si impiegano 3 ore) e ha commentato: “Sono esausto. Tutto a causa dell’inquinamento”. Internet è diventato il canale preferito di molti cinesi per esprimere la loro rabbia contro gli abusi e le disfunzioni del Paese, che sacrifica spesso l’ambiente sull’altare dello sviluppo economico disordinato.
Un alto utente scrive: “Un nuovo giorno affumicato a Pechino. Ho messo una maschera questa mattina. Non so quanto può essere la mia aspettativa di vita respirando questa aria dannosa per tutto il tempo”. Taobao.com, il gigante delle vendite online in Cina, ha detto di aver venduto 30mila respiratori domenica, quando la visibilità era di poche centinaia di metri.
Un comunicato dell’Ambasciata americana a Pechino ha descritto l’inquinamento “rischioso per i prossimi giorni” e ha invitato i dipendenti “alla massima attenzione”. Secondo il servizio meteorologico cinese la nebbia rimarrà fino a mercoledì: ma i media statali e gli organi di informazione in mano al Partito negano che questo abbia a che fare con l’inquinamento. Ieri il Quotidiano del Popolo e il Global Times accusavano per i disagi “il clima sfavorevole”.
Eppure il regime cinese, nel corso della Conferenza internazionale sul clima in corso a Durban, non ha potuto negare i dati presentati dagli esperti internazionali. Secondo gli analisti, la Cina supera gli Stati Uniti in produzione di CO2 (anidride carbonica) e i due Paesi insieme arrivano al 44% delle emissioni globali: 25% per la Cina contro il 19 degli Usa. I dati sono quelli di uno studio del Centro internazionale per la ricerca su clima e ambiente di Oslo - secondo cui finora erano state le nazioni ricche a esportare le loro emissioni - incrociati con la classifica delle emissioni mondiali al 2010 messa a punto dalla compagnia energetica BP.
Nel 2008 - spiega lo studio del Centro climatico norvegese - un terzo delle emissioni della Cina era prodotto dalla manifattura di beni destinati all’esportazione (e dunque i responsabili di queste emissioni erano i consumatori dei Paesi ricchi). Ma ora la situazione sta cambiando: “I consumatori dei Paesi in via di sviluppo - spiegano gli analisti - hanno rilasciato più anidride carbonica di quelli dei Paesi sviluppati. Nel 2010 la Cina ha visto crescere del 10,4% le sue emissioni”.
Nel corso del vertice convocato dall’Onu, la Cina ha aperto a sorpresa ad alcuni obblighi vincolanti sul clima, ponendo però le sue condizioni per un accordo per impegni da prendere a partire dal 2020. Il ministro cinese Xie Zhenhua, incontrando le Ong in Sudafrica, ha sostenuto che “dopo il 2020 si potrà pensare anche a negoziare un documento giuridicamente vincolante”. Tra le condizioni poste dalla Cina, che con questa mossa potrebbero riaprire la strada dei negoziati, proprio un Kyoto 2 e un aumento delle promesse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo.
Questa posizione è stata scelta per motivi tutt’altro che umanitari o ambientali. Pechino vuole infatti sfruttare il vertice per placare la popolazione interna e mettere all’angolo gli Stati Uniti, competitor principale nel campo delle esportazioni. Essendo la Cina un Paese “in via di sviluppo”, infatti, i nuovi limiti colpirebbero molto di più Washington che Pechino. Ma intanto, oltre 400mila persone muoiono ogni anno in Cina per problemi respiratori legati all'inquinamento.
Ieri pomeriggio all’aeroporto di Pechino, il secondo scalo del mondo, erano stati ritardati di almeno un’ora 126 voli; altri 207 erano stati cancellati. Spessi banchi di nebbia misti a intenso smog hanno causato altre centinaia di cancellazioni di voli e ritardi nella Cina settentrionale e la chiusura delle autostrade che attraversano le province dello Shandong e dell’Hebei. Il cielo della capitale cinese era così scuro che molti conducenti hanno tenuto accese le luci tutto il giorno, dando alla città un’atmosfera surreale. “Sembra la fine del mondo”, ha commentato un blogger di nome David Jiaoxiaomao.
Il problema dell’inquinamento è stato il più trattato su internet: 4,4 milioni di messaggi sul servizio di microblogging principale del paese, Sina Weibo. Un utente, Hu Yueyue, ci ha messo 24 ore per andare da Pechino a Shenzhen (di solito ci si impiegano 3 ore) e ha commentato: “Sono esausto. Tutto a causa dell’inquinamento”. Internet è diventato il canale preferito di molti cinesi per esprimere la loro rabbia contro gli abusi e le disfunzioni del Paese, che sacrifica spesso l’ambiente sull’altare dello sviluppo economico disordinato.
Un alto utente scrive: “Un nuovo giorno affumicato a Pechino. Ho messo una maschera questa mattina. Non so quanto può essere la mia aspettativa di vita respirando questa aria dannosa per tutto il tempo”. Taobao.com, il gigante delle vendite online in Cina, ha detto di aver venduto 30mila respiratori domenica, quando la visibilità era di poche centinaia di metri.
Un comunicato dell’Ambasciata americana a Pechino ha descritto l’inquinamento “rischioso per i prossimi giorni” e ha invitato i dipendenti “alla massima attenzione”. Secondo il servizio meteorologico cinese la nebbia rimarrà fino a mercoledì: ma i media statali e gli organi di informazione in mano al Partito negano che questo abbia a che fare con l’inquinamento. Ieri il Quotidiano del Popolo e il Global Times accusavano per i disagi “il clima sfavorevole”.
Eppure il regime cinese, nel corso della Conferenza internazionale sul clima in corso a Durban, non ha potuto negare i dati presentati dagli esperti internazionali. Secondo gli analisti, la Cina supera gli Stati Uniti in produzione di CO2 (anidride carbonica) e i due Paesi insieme arrivano al 44% delle emissioni globali: 25% per la Cina contro il 19 degli Usa. I dati sono quelli di uno studio del Centro internazionale per la ricerca su clima e ambiente di Oslo - secondo cui finora erano state le nazioni ricche a esportare le loro emissioni - incrociati con la classifica delle emissioni mondiali al 2010 messa a punto dalla compagnia energetica BP.
Nel 2008 - spiega lo studio del Centro climatico norvegese - un terzo delle emissioni della Cina era prodotto dalla manifattura di beni destinati all’esportazione (e dunque i responsabili di queste emissioni erano i consumatori dei Paesi ricchi). Ma ora la situazione sta cambiando: “I consumatori dei Paesi in via di sviluppo - spiegano gli analisti - hanno rilasciato più anidride carbonica di quelli dei Paesi sviluppati. Nel 2010 la Cina ha visto crescere del 10,4% le sue emissioni”.
Nel corso del vertice convocato dall’Onu, la Cina ha aperto a sorpresa ad alcuni obblighi vincolanti sul clima, ponendo però le sue condizioni per un accordo per impegni da prendere a partire dal 2020. Il ministro cinese Xie Zhenhua, incontrando le Ong in Sudafrica, ha sostenuto che “dopo il 2020 si potrà pensare anche a negoziare un documento giuridicamente vincolante”. Tra le condizioni poste dalla Cina, che con questa mossa potrebbero riaprire la strada dei negoziati, proprio un Kyoto 2 e un aumento delle promesse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo.
Questa posizione è stata scelta per motivi tutt’altro che umanitari o ambientali. Pechino vuole infatti sfruttare il vertice per placare la popolazione interna e mettere all’angolo gli Stati Uniti, competitor principale nel campo delle esportazioni. Essendo la Cina un Paese “in via di sviluppo”, infatti, i nuovi limiti colpirebbero molto di più Washington che Pechino. Ma intanto, oltre 400mila persone muoiono ogni anno in Cina per problemi respiratori legati all'inquinamento.
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