Il santuario Yasukuni e il fallimento della diplomazia di Koizumi
La visita del premier al santuario shinto, dove si conservano le memorie di kamikaze e criminali di guerra, proprio nel giorno anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, ha ricevuto forti critiche da tutta l'Asia. La Cina attende il dopo Koizumi.
Tokyo (AsiaNews) - Il 15 agosto è una data particolarmente significativa per le nazioni dell'Asia orientale, specialmente Corea, Cina e Giappone: le prime due celebrano la liberazione dal giogo militaristico nipponico; la terza commemora i caduti durante la guerra del Pacifico (1941-45). Il 15 agosto di 61 anni fa l'imperatore Hirohito esortando il suo popolo a "sopportare l'insopportabile" annunciò l'accettazione della resa incondizionata agli eserciti alleati.
Quest'anno in Giappone la giornata ha assunto un tono fortemente emotivo a causa di due avvenimenti dal significato opposto: la commemorazione dei defunti alla presenza della coppia imperiale alla hall del Budokan (palazzo delle arti marziali) e la visita del primo ministro Junichiro Koizumi al contestato santuario shintoista Yasukuni.
A mezzogiorno dopo la preghiera dell'imperatore, il primo ministro ha detto: "Il Giappone ha inflitto enormi danni e sofferenze ai popoli di molte nazioni specialmente in Asia. È con profonda riflessione che io esprimo il mio dolore per le vittime", e ha aggiunto: "Il Giappone lavorerà con molto impegno per contribuire a stabilire una pace permanente nel mondo". Non sono parole vuote: parecchie nazioni dell'Asia, comprese la Cina e la Corea del sud, in grande misura devono la loro prodigiosa rinascita economica ai contributi finanziari e tecnici del Giappone.
Ma l'altro avvenimento ha contraddetto, almeno simbolicamente, il messaggio proclamato al Budokan. La giornata di Koizumi era iniziata molto presto: alle 7,45 è entrato nel sacrario del santuario Yasukuni, sfidando serie opposizioni interne ed estere. Le nazioni asiatiche, Cina e Corea soprattutto, considerano quel santuario shintoista come il simbolo dell'aggressione militare nipponica. Negli anni del militarismo, quando i tram o i bus transitavano davanti al tempio, i passeggeri facevano un profondo inchino; i "kamikaze", prima di partire per le loro missioni senza ritorno, si radunavano nell'atrio antistante dicendo: "Ci ritroveremo qui".
Molti in Giappone si auguravano che il premier evitasse la visita, specialmente il 15 agosto, ma ben pochi lo speravano. La tenacia o cocciutaggine dell'eccentrico Koizumi è ben nota; tale dote, va pur detto, gli ha permesso di realizzare riforme strutturali benefiche per l'economia e il rinnovamento politico della nazione.
Nel 2001, durante le elezioni "primarie" per la scelta del presidente del partito, egli aveva promesso agli "elettori", in particolare alla potente organizzazione delle famiglie dei deceduti in guerra, che da primo ministro avrebbe visitato il tempio Yasukuni il 15 agosto. Fedele alla parola data, ogni anno ha fatto visita al santuario, ma, su pressioni di influenti consiglieri, ha sempre evitato la data del 15 agosto. Poichè in settembre lascerà la presidenza del partito e, conseguentemente, anche quella del governo, quest'anno ha deciso di mantenere la promessa alla lettera.
Ai giornalisti che gli chiedevano perchè avesse osato sfidare una forte opposizione anche nazionale, ha risposto con apparente candore: "E' male mantenere le promesse fatte?" e "la mia visita è questione di cuore".
Gli analisti non hanno trovato difficoltà a far rilevare la debolezza delle risposte: Koizumi, essi dicono, è primo ministro e ha visitato come tale il santuario contestato. A causa di tali visite, da 5 anni tra Cina e Giappone non vi sono visite di stato al vertice. La Cina contesta i pellegrinaggi del premier giapponese allo Yasukuni perchè tra le "tavolette" dei caduti in guerra nel 1978 sono state inserite segretamente anche quelle dei 14 criminali di classe A, condannati dal "tribunale internazionale dell'estremo oriente" (noto come "Tribunale di Tokyo") perchè responsabili delle stragi e sofferenze inferte alle nazioni dell'Asia. Con questa visita ufficiale, il Giappone mostra di non avere ancora pagato il debito morale verso i popoli dell'Asia.
Di recente è stato reso noto il diario di uno dei massimi responsabili dell"agenzia della Casa Imperiale" dal quale risulta che il precedente imperatore Hirohito, di sua iniziativa, non ha più visitato Yasukuni proprio dal 1978 perchè erano state inserite le "tavolette" dei responsabili della guerra. La rivelazione poteva offrire al primo ministro un forte motivo per evitare la visita.
Ancora più debole è la "ragione del cuore". Tra le vittime di quella guerra non ci sono solo 2 milioni di giapponesi ma anche 20 milioni di asiatici. Per le nazioni vittime, la visita del premier al tempio, simbolo del militarismo, è un affronto insopportabile. Koizumi mostra anche di avere la memoria corta. Nel 1977, quando egli era un giovane politico, l'allora primo ministro e suo mentore Takeo Fukuda, fervente buddista, nella sua diplomazia asiatica aveva propugnata la dottrina del "cuore a cuore": il Giappone, aveva detto, sarà bene accolto quando prenderà sul serio anche il "cuore delle altre nazioni". Era come dire: "paghiamo il nostro debito morale".
Come era facilmente prevedibile, la visita di Koizumi allo Yasukuni ha subito suscitato proteste dai governi delle nazioni asiatiche. Il portavoce della Cina è stato lo stesso ministro degli esteri. Ma mentre a Seoul le reazioni sono state vivaci e popolari, a Pechino sono state volutamente contenute. Per il primo ministro giapponese un colpo piú duro che un attacco demagogico. Ironicamente Yoshibumi Wakamiya, editorialista dell'Asahi Shimbun scrive: "Il primo ministro Junichiro Koizumi deve essere un uomo felice. Più volte egli ha detto che il suo spirito acquista vigore quanto piu' incontra opposizione. Percio' deve aver provato una grande soddisfazione dopo la visita allo Yasukuni (per la dura opposizione incontrata)". La Cina, però, non è stata al gioco: di fatto lo ha scavalcato. Da un po' di tempo la diplomazia cinese mira al dopo-Koizumi.