Il Paese alle urne, per le prime elezioni libere dalla sua formazione
Oltre 128mila membri delle forze dell’ordine pattugliano i 52 distretti elettorali, dove si vota per i deputati dell’Assemblea federale e per quelli delle 4 Assemblee provinciali. Per la prima volta, donne e minoranze non islamiche potranno votare i loro candidati. Tensioni per le minacce dei talebani contro il voto libero.
Islamabad (AsiaNews) – Le elezioni che si sono aperte questa mattina sono le prime realmente libere nella storia del Pakistan contemporaneo. Oltre 80 milioni di elettori sono chiamati ad eleggere i propri rappresentanti nell’Assemblea nazionale e nelle 4 Assemblee provinciali, mentre sale la tensione per le minacce lanciate dai talebani contro il voto libero.
Ufficialmente una Repubblica federale (è in corso un dibattito pubblico per decidere se “di ispirazione islamica”), il Paese ha affrontato una lunga storia di dittature militari (il generale Ayub Khan negli anni ‘60, il generale Zia ul Haq negli anni ‘80, e il generale Pervez Musharraf dal 1999), che hanno seriamente minato i principi democratici su cui si basa la Costituzione emanata dal Padre della Patria, Ali Jinnah.
Le ultime consultazioni di un qualche rilievo si sono tenute nell'ottobre 2002, ma hanno prodotto un esecutivo fantoccio soggiogato al volere dell'allora governo militare. Il 22 maggio 2004, tuttavia, il Gruppo di Azione Ministeriale del Commonwealth ha riammesso all'interno dell'Organizzazione il Pakistan, riconoscendo formalmente i suoi progressi nel tornare alla democrazia. Allo stesso modo si è pronunciata la comunità internazionale, che ha chiesto a Musharraf una garanzia di democraticità reale.
Gli elettori sono chiamati ad eleggere i 577 parlamentari delle quattro Assemblee provinciali (Belucistan, Frontiera nord-occidentale, Sindh e Punjab) e di quella federale o nazionale, il vero organo legislativo del Paese: qui sono in ballo 268 seggi sui 272 totali. I 4 distretti che non produrranno un candidato sono: Larkana, dove era candidata Benazir Bhutto, leader popolare uccisa alla fine di dicembre; il distretto 119 di Lahore, dove era candidato per la Lega Musulmana Q il defunto Tariq Banday; il distretto 42 del Waziristan meridionale, dove sono altissimi i rischi per la sicurezza degli elettori e Parachanar, dove il 16 febbraio un attentato ha ucciso 37 persone.
Secondo l’ultimo censimento ufficiale, il Pakistan ha 132 milioni di abitanti; alcune stime portano però la cifra totale intorno ai 150 milioni. Di questi, il 95 % è di fede musulmana e le minoranze (cristiani, musulmani ahmadi ritenuti eretici, indù e zoroastriani) non avevano rappresentatività politica fino ad oggi. Nei mesi scorsi è stata infatti approvata una legge che consente alle “minoranze di ogni genere” di concorrere per l’Assemblea nazionale, prima riservata a maschi musulmani.
I candidati per le Assemblee provinciali sono 5.083, mentre quelli per l’Assemblea nazionale sono 2.242: per la prima volta nella storia dello Stato, 180 candidati sono donne (per i 60 seggi riservati) e 9 sono non musulmani (per i 10 seggi riservati).
I principali Partiti in corsa sono tre: il Partito Popolare pakistano, guidato dal 19enne Bilawal Bhutto dopo la tragica fine della Bhutto; la Lega musulmana N, guidata dall'ex premier Nawaz Sharif, e la Lega Musulmana Q, il Partito presidenziale.
Hassan Abbas, ex politico pachistano oggi ricercatore ed Harvard, ritiene che le elezioni dovrebbero avere il seguente esito: oltre il 50 % al Partito della Bhutto, circa il 30 % a quello di Nawaz Sharif e non più del 10 % al Partito di Musharraf (il resto della percentuale dovrebbe finire nelle liste civetta, create nelle aree tribali da candidati con peso esclusivamente locale). “Se il Partito di governo prenderà più di 25 seggi - sostiene Abbas - vorrà dire che il voto è stato truccato”. In questo caso, come hanno dichiarato i vertici del Partito Popolare, nel Paese esploderà di nuovo la protesta. Se tutto andasse liscio, i due partiti d’opposizione avrebbero la forza sufficiente per formare un governo di coalizione, escludendo del tutto le forze che sostengono Musharraf.
La corsa rimane aperta per il ruolo di premier: tutte le formazioni politiche, infatti, hanno deciso di rendere noto il nome del proprio primo ministro soltanto ad urne chiuse, ufficialmente “per evitare rischi collegati alla sicurezza”. Tuttavia, le figure di spicco sono molto poche.
Asif Zardari, reggente del Ppp e vedovo della Bhutto, gode di scarsissima fiducia per la sua fama di uomo dissoluto e corrotto. Bilawal Bhutto, “erede designato” dalla Bhutto, è considerato un ragazzo, ancora lontano da una vera identità politica e perciò più una bandiera che altro.
L’alternativa sarebbe l’ex premier Nawaz Sharif, molto stimato in patria ma ritenuto inaffidabile dalla comunità internazionale e da diversi analisti per il suo islamismo. Tuttavia, Sharif è oggi l’unico personaggio politico di peso rimasto in Pakistan a godere di un ampio consenso popolare, soprattutto dopo le sue recenti prese di posizione sulla libertà di stampa, sull’autonomia dei giudici, sullo stato di diritto e dopo il cordoglio personale mostrato per la morte della Bhutto.
Inoltre, egli è l’unico a poter dialogare con gli estremisti islamici delle aree tribali e con i vertici dell’esercito pachistano, escluso Musharraf che lui odia personalmente e con il quale – contrariamente alla Bhutto – non ha mai voluto trattare. Questo lo renderebbe adatto a guidare un dopo-Musharraf gestendo sia le resistenze degli ambienti militari, sia la minaccia della guerriglia islamica. Tuttavia, il prezzo da pagare sarebbero i diritti umani e la libertà di espressione.
Fino ad ora, la situazione è di calma apparente in tutto il Paese. Dopo il terribile attentato del 16 febbraio, tuttavia, il governo ha deciso di rinforzare ancora di più la sicurezza ai margini delle urne: oltre 81mila soldati sono infatti attualmente impiegati nei 52 distretti elettorali, insieme a circa 47mila membri delle forze paramilitari. La chiusura dei seggi è prevista per le 17 (ora locale), ma l’esercito ritirerà gli uomini soltanto fra 2 giorni, per garantire un “corretto spoglio dei voti”.
La popolazione teme le ripercussioni economiche delle elezioni. Fino alla semidittatura di Musharraf, infatti, Islamabad ha registrato un tasso di crescita dell’economia interna oscillante fra il 5 ed il 7 %. Tuttavia, complice l’insicurezza politica e l’aumento del terrorismo interno, questo dato ha subito negli ultimi mesi una forte flessione, con il conseguente aumento dell’inflazione e del tasso di disoccupazione.
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