01/10/2024, 13.02
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Il Libano dopo Nasrallah, piegato alla guerra che non voleva

di Fady Noun

Il numero due di Hezbollah annuncia: “Continuiamo la lotta”. Il prezzo è già elevato: oltre un migliaio di vittime, devastazioni incalcolabili ed emergenza umanitaria; ma nei centri di accoglienza o nelle piazze le parole di risentimento contro il segretario generale ucciso restano rare. Francia e Stati Uniti (che approva l’intervento di terra israeliano) continuano a parlare di una soluzione diplomatica che al momento appare lontana. 

Beirut (AsiaNews) - “Conosci te stesso”. Questo precetto socratico, valido per qualunque uomo aspiri alla saggezza, vale anche per gli Stati. Ed è per averlo ignorato che Hezbollah, trascinando con sé il Libano, si ritrova oggi in piena turbolenza e con una invasione di terra “limitata” dell’esercito israeliano iniziata nella notte, dopo giorni di intensi bombardamenti. Per aver agito in maniera unilaterale e deciso, senza consultare le altre componenti della nazione, di trascinare il Paese in una guerra di sostegno ad Hamas a Gaza, l’8 ottobre 2023, il segretario generale Hassan Nasrallah ha finito per innescare una risposta massiccia dello Stato ebraico. Che si è concretizzata in un vasto attacco (aereo e terrestre) contro il quale le sue risorse militari, in particolare la deterrenza dei razzi a lungo raggio, e le minacce di un sostegno iraniano, non hanno funzionato. 

La risposta israeliana, alla quale tutti hanno guardato in queste frenetiche giornate, è costata la vita allo stesso Nasrallah, assieme ad una decina di comandanti militari di alto livello della resistenza islamica. Operazioni che hanno inoltre devastato la periferia sud di Beirut, così come tutte le regioni in cui Hezbollah è radicato e vanta un sostegno popolare, dalla capitale al sud del Libano fino alla valle di Békaa, al prezzo di oltre un migliaio di vittime e devastazioni incalcolabili. E finendo per gettare sulla strada una popolazione ad oggi senza alternative. 

Stipata in centri di accoglienza improvvisati (scuole pubbliche e private, sale della chiesa e aule o edifici comunali), parte della popolazione si è ritrovata sui marciapiedi, nelle piazze e nei giardini pubblici di Beirut. In questo agglomerato umano, le parole di risentimento contro il segretario generale di Hezbollah sono molto rare. Anche nella sofferenza, la popolazione rimane visceralmente legata a lui, non senza gratitudine per l’accoglienza precaria ma umana che trova nelle regioni risparmiate dall’accanimento israeliano. 

Nasrallah ‘eliminato’

La “eliminazione” - mutuando un termine usato dall’esercito israeliano - di una figura carismatica come quella di Hassan Nasrallah ha sollevato una ondata di shock non solo in Libano, ma in tutto il mondo arabo e musulmano. E l’impatto di questa operazione si trasmetterà sicuramente attraverso le generazioni. Il suo corpo è stato recuperato dalle macerie, apparentemente in buone condizioni, tuttavia, non si sa ancora quando avrà luogo la sua sepoltura, né se sarà pubblica. Un periodo di lutto di tre giorni è stato annunciato in Libano quando il Partito di Dio ne ha confermato la sua morte. La nomina del successore di Hassan Nasrallah non è ancora stata decisa, ma gli osservatori ritengono con tutta probabilità che l’Iran avrà qualcosa da dire al riguardo.

Diviso tra il desiderio di capitalizzare le vittorie militari e psicologiche della sua campagna aerea e gli sforzi diplomatici guidati da Francia e Stati Uniti per trovare una soluzione diplomatica, il comando militare israeliano ha deciso ieri sera a favore della prima opzione. I suoi commando, con il consenso di Washington, hanno attraversato i confini terrestri del Libano attraverso delle brecce nel muro di cemento che essi stessi avevano installato alla periferia dei villaggi di Rmeich e Aïta Chaab, Adeissé e Kfar Kila. L’obiettivo dell’ingresso via terra è distruggere qualsiasi infrastruttura che Hezbollah possa aver costruito nell’area, in primis tunnel e basi missilistiche. L’esercito libanese presente in alcuni presidi ha manovrato di conseguenza. È ovviamente troppo presto per commentare il successo di questa operazione e la risposta che potrebbe ricevere da un Hezbollah disorganizzato e indebolito dai colpi ricevuti. Al momento in cui scriviamo non vi è stato alcun confronto diretto tra Hezbollah e i commando israeliani.

La via diplomatica

Una soluzione diplomatica alla guerra tra Hezbollah e Israele non ha al momento alcuna possibilità di riuscita. Il presidente Usa Joe Biden e il segretario alla Difesa Lloyd Austin hanno ribadito ieri che, a prescindere dalle incursioni, restano impegnati in un processo pacifico. Pur riconoscendo il “diritto di Israele a difendersi”, lo stesso Austin ha intimato al suo omologo israeliano, Yoav Galant, che lo scopo di queste incursioni deve essere nei fatti quello di “assicurare il ritorno della popolazione alle proprie case, su entrambi i lati del confine”. Di contro, l’operazione militare non può essere il preludio secondo Washington di un’occupazione duratura.

Sempre nell’ambito degli sforzi diplomatici, la sera del 29 settembre è arrivato in Libano il nuovo ministro francese degli Esteri, Jean-Noël Barrot, per colloqui incentrati su un cessate il fuoco; un tentativo di tregua in linea con l’accordo Biden-Macron raggiunto a margine della sessione annuale dell’Assemblea generale Onu.

Da Beirut, l’inquilino del Quai d’Orsay ha esortato lo Stato ebraico a “dare una possibilità alla diplomazia”, ma si è ben guardato dal recarsi in Israele ben sapendo - raccontano fonti bene informate - il clima di ostilità che vi avrebbe incontrato. Detto questo, Barrot non ha risparmiato i miliziani di Hezbollah, affermando: “Vi ricordo che la situazione attuale è in gran parte dovuta alla decisione di questo movimento di entrare nel conflitto l’8 ottobre e di trascinarvi il Libano, cosa che abbiamo sempre deplorato”. Egli ha infine sottolineato che “i parametri per una soluzione diplomatica duratura sono noti da tempo”, si tratta di “attuare pienamente la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza”, la quale prevede in particolare il ritiro di Hezbollah a nord del fiume Litani.

Rifiutata da Israele, la soluzione diplomatica è stata respinta anche da Hezbollah. “Continuiamo sulle orme di Nasrallah” ha dichiarato ieri il numero due del partito, Naïm Kassem, in un breve discorso televisivo, con il volto gonfio di dolore. La guerra “potrebbe essere lunga”, ha riconosciuto, ma il Partito di Dio ha la forza necessaria “per affrontare un’invasione di terra”.

Questa presa di posizione ha deluso le speranze suscitate nell’opinione pubblica pochi istanti prima da una dichiarazione del primo ministro Nagib Mikati. Dopo un incontro con Nabih Berry, quest’ultimo aveva annunciato che esisteva ancora la prospettiva di un cessate il fuoco, seguito immediatamente dal dispiegamento dell’esercito al confine e da una sessione parlamentare per eleggere un nuovo presidente.

Intanto a Bkerké lo stesso Barrot ha incontrato anche il patriarca maronita Béshara Raï, che ha ribadito il suo impegno per la proclamazione della “neutralità positiva” del Libano rispetto alle questioni regionali e internazionali. Il capo della diplomazia francese è giunto in Libano accompagnato da un aereo militare: il mezzo trasportava due postazioni sanitarie mobili in grado di curare un migliaio di feriti gravi, oltre a circa dieci tonnellate di attrezzature mediche e un pacchetto di aiuti d’emergenza del valore di 10 milioni di euro a sostegno delle organizzazioni umanitarie.

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