16/12/2024, 11.02
LIBANO - SIRIA
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Chiese siriane oltre Assad: ricostruire dalla cittadinanza

di Fady Noun

Temendo l’introduzione della sharia e in attesa di una nuova costituzione, i cristiani di Siria aspettano con il fiato sospeso. Il patriarca maronita e i vescovi delle varie Chiese difendono l’idea di cittadinanza e di pari diritti. L’autocritica dell'arcivescovo maronita di Damasco che ammette la “mancanza di coraggio” nel “dire la verità” sulle atrocità commesse dal regime deposto.

Beirut (AsiaNews) - Il capo della Chiesa maronita, il patriarca Beshara Raï, ha incoraggiato i cristiani siriani - sospesi fra speranza e timori per il futuro - e ridotti oggi più che mai a una sparuta minoranza (una popolazione ridotta dei due terzi dall’inizio della guerra civili nel 2011) a restare nel proprio Paese. Un invito cui si affianca l’esortazione a impegnarsi in modo risoluto nella ricostruzione della loro patria, fondando questa rinascita “sul principio della cittadinanza e dell’uguaglianza, senza discriminazioni di sfondo religioso, confessionale, etnico o culturale”. 

Il cardinale ha lanciato l’esortazione nell’omelia della messa domenica celebrata ieri, nella quale ha deciso di intervenire sulla situazione dei cristiani in Siria all’indomani della caduta del regime di Bashar al-Assad. Il dittatore di lungo corso è stato cacciato da una coalizione di ribelli e oppositori guidati dal gruppo islamico Hay’at Tahrir al-Sham (Hts). “La Siria è la culla del cristianesimo nella regione” ha ricordato il primate la cui Chiesa è nata ad Antiochia, una delle principali città della Siria in epoca romana, e che assume il nome di “Patrarca di Antiochia e di tutto l'Oriente”. 

Commentando le parole “rassicuranti” del leader di Hts, Ahmed el-Chareh, alias Abu Mohammad al-Jolani, che ha incoraggiato i cristiani a non cambiare le loro abitudini, il patriarca ha aggiunto: “I cristiani devono vivere la loro naturale e attiva presenza all’interno della società siriana, essendone una componente genuina ed essenziale”. Al riguardo, nella serata di ieri la televisione libanese ha trasmesso la cerimonia di accensione dell’albero di Natale davanti alla cattedrale di Notre-Dame a Tartous, sulla costa siriana, alla presenza del vescovo maronita locale, Antoine Chbeir.

Secondo quanto riferisce l’Afp, ad Aleppo la Chiesa latina ha immediatamente recuperato un immobile occupato dal partito Baath al potere da oltre sessant’anni e vi ha appeso la bandiera vaticana. L’esortazione patriarcale giunge in un momento in cui la verità sta venendo a galla e le voci si rincorrono sulla natura implacabile del regime di polizia instaurato dal presidente Hafez el-Assad, salito al potere nel 1971, e poi dal figlio, che gli è succeduto. Gli Assad, appartenenti alla minoranza alawita, hanno governato la Siria con il pugno di ferro per 53 anni, in nome di una “alleanza delle minoranze” che ha demonizzato l’islam sunnita, maggioritario in Siria, e ha portato in particolare alla repressione di una rivolta dei Fratelli musulmani ad Hama (febbraio 1982), durante la quale sono state massacrati decine di migliaia di siriani.

Autocritica

A questo proposito, e per la prima volta in pubblico, l’arcivescovo maronita di Damasco mons. Samir Nassar ha fatto autocritica sul comportamento delle Chiese presenti in Siria. “Non siamo stati abbastanza coraggiosi - ha ammesso - da dire la verità”. Centinaia di migliaia di siriani sono stati imprigionati in condizioni indescrivibili, uccisi o “scomparsi” sotto questa dittatura. Parlando con Caroline Hayek, inviata speciale de L’Orient-Le Jour (LOJ), l’arcivescovo ha descritto una Siria in cui tutti, compreso il clero, erano “sorvegliati 24 ore su 24” e in cui lui stesso, quando era in carica, condivideva le sue idee “con toni sommessi”, anche fuori dalla Siria.

“I servizi segreti, i ‘moukhabarat’, erano ovunque” ha sottolineato mons. Nassar. Passavano attraverso il cuoco, il portinaio, il sagrestano […]. Vi erano quattordici servizi di intelligence e rapporti quotidiani [...]. Tutti controllavano gli altri - prosegue - e anche molti sacerdoti erano coinvolti in questo sistema. Un giorno hanno persino trovato un microfono in una penna nel mio cassetto...”. Da ora in avanti, ha concluso il prelato, “non dobbiamo pensare come comunità, ma come cittadini”.

“Rivoluzione dello sguardo”

Così si è espresso il 13 dicembre scorso l'arcivescovo siro-cattolico di Homs, Hama e Dabek, mons. Jacques Mourad, in una conferenza stampa organizzata a Damasco dall’associazione francese L’Œuvre d’Orient, presente in Siria da oltre 150 anni. Membro della comunità di Mar Musa, fondata dal gesuita p. Paolo Dall’Oglio disperso in Siria dal 2013, l’arcivescovo, preso in ostaggio dal gruppo dello Stato Islamico nel 2015, ha difeso l’idea di una “rivoluzione dello sguardo”. “Vi è un lavoro da fare per liberare il nostro sguardo. Dobbiamo guarire la nostra memoria” ha insistito. “Aiutiamo questo nuovo Stato, anche se sostiene di essere musulmano [...]. Siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità nella direzione di questo Paese”.

Mons. Mourad si è però espresso contro il progetto di fare della sharia (la legge islamica) la fonte delle istituzioni, come affermato da alcuni dei nuovi padroni della Siria, tra cui il ministro della Giustizia del governo provvisorio (in carica fino al marzo 2025). “Abbiamo combattuto contro l’ingiustizia - ha detto - ma non perché la sharia possa sostituire il Palazzo di Giustizia”. Il prelato ha infine invocato la revoca delle sanzioni statunitensi e internazionali contro la Siria, affermando che “queste sanzioni non hanno colpito la classe dirigente, ma hanno ridotto il popolo in povertà. L’80% dei siriani vive al di sotto della soglia di povertà”.

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