Candidati indipendenti: una spina nel fianco per il governo turco
di Mavi Zambak
Una novità che potrebbe permettere di superare lo sbarramento costituzionale del 10%. Il "nemico" per nazionalisti e islamici, ora sono i cristiani e i curdi. L’uccisione di Tuncay Seyranlioglu, noto uomo di affari che partecipava alle elezioni.
Ankara (AsiaNews) - La campagna elettorale in Turchia si è macchiata di sangue. A cinque giorni dalla chiamata al voto, Tuncay Seyranlioglu, noto uomo d’affari, candidato indipendente al Parlamento, è stato assassinato a Istanbul a colpi di arma fuoco, mentre viaggiava sulla sua auto. Atroce delitto di matrice politica, anche se liquidato velocemente dai mass media nazionali come un omicidio causato da una vendetta dovuta alla vendita effettuata dallo stesso Tuncay del suo salone per matrimoni per finanziarsi la campagna elettorale.
Eppure quella della candidatura di personaggi indipendenti è una novità da non sottovalutare e che certamente spaventa l’attuale regime.
Per superare lo sbarramento del 10% - soglia imposta dai militari dopo il colpo di stato del 1980 per impedire che potessero accedere in parlamento deputati di sinistra e curdi – quest’anno sono numerosi – 700 - i candidati, soprattutto di sinistra e curdi per l’appunto, che hanno deciso di presentare la propria candidatura da indipendenti.
I loro nomi sono nella stessa scheda elettorale con i candidati dei partiti, ma il loro nome non sarà affiancato da nessun simbolo o emblema che li possa distinguere e non ci sarà neppure un loro numero progressivo, il che complicherà il voto di chi ha difficoltà a leggere e scrivere – come nel caso dei numerosi curdi che hanno imparato molto tardi la lettura e scrittura in turco – eppure fino a ieri c’era entusiasmo per questa soluzione, nella consapevolezza che questa volta i voti non sarebbero andati sprecati come successe nelle precedenti elezioni del 2002 e che ci potesse essere la possibilità di poter contare almeno su una trentina di seggi in grado di formare così un gruppo in grado di essere un antidoto contro i nazionalisti e forse anche un punto di partenza per la ricostruzione di una sinistra che con i colpi di Stato è stata annientata insieme alla vera democrazia turca.
Sempre in conseguenza dei colpi di Stato, infatti, non esiste più una sinistra in Turchia e il suo posto è stato coperto dai partiti etnici e religiosi che hanno preso sempre più importanza fino agli estremismi dell’MHP, il Movimento di azione nazionalista dei Lupi grigi. Sfruttando le inquietudini e le paure della popolazione materializzatesi nella denuncia della perdita della propria identità islamica e nazionale del Paese, attaccando le minoranze religiose ed etniche e il processo di integrazione europea, è riuscito a ricompattare intorno ad un nuovo nemico interno – i cristiani e i curdi – un partito relegato ai margini della società turca da quando nelle elezioni del 2002 non era riuscito a superare la soglia del 10% e non si era assicurato nessun seggio parlamentare. Puntando la sua campagna elettorale su questa retorica xenofoba pare stavolta sia riuscito a conquistarsi una base elettorale grazie alla quale, secondo le previsioni dei sondaggi, domenica prossima potrebbe raggiungere persino il 20% dei voti, mentre nel 2002 aveva ottenuto appena l’8%.
Anche il CHP, il partito repubblicano laico per eccellenza, fondato nel 1923 dallo stesso Ataturk, ed ora all’opposizione parlamentare con 177 deputati su 550, si serve delle medesime paure popolari per contrastare e attaccare l’attuale partito al governo, l’AKP, e così si è trascinato a destra, sfruttando anch’esso le stesse denuncie amplificate dal MHP. Non a caso, paradosso della politica, pare che si intraveda persino una possibilità di una loro coalizione all’interno del futuro Parlamento.
Cosa succederà dunque il 22 luglio?
Nonostante la mobilitazione dello Stato, della magistratura, dell’esercito e dei settori politici ad essi vicini, come il CHP, dagli ultimi sondaggi emerge che il sostegno della gente va ancor di più verso il partito del premier Erdogan, l’AKP.
Il primo ministro sa di fatto di poter contare sui ceti popolari delle grandi città e della periferia anatolica, ma anche sulla nuova classe dei piccoli imprenditori e artigiani che dall’inizio di questo governo hanno visto rafforzata la propria economia e i propri interessi. Infatti non si può negare che lo sviluppo economico del Paese ha subito una notevole impennata sotto il governo dello scaltro primo ministro filo islamico ed europeista. E’ un partito, dunque, l’AKP che è visto come efficiente e vicino alla gente, in contrapposizione al CHP sempre più avvolto in una spirale nazionalista e arroccato su posizioni conservatrici, autoritarie.
Quello che è certo è che l’AKP sarà ancora il primo partito: è considerato il partito favorito e le previsioni lo accreditano con una percentuale di voti oscillante tra il 40 e il 50 %, ma se dal voto del 22 luglio uscisse di nuovo un parlamento con soli due partiti il regime continuerà a restare bloccato e con molta probabilità si dovrà tornare a votare per modificare la Costituzione.
Se anche altri partiti riuscissero a superare lo sbarramento, come si prevede per il MHP, il quadro politico potrebbe decisamente cambiare sia all’opposizione sia al governo. Se il DTP (Partito della società democratica) riuscisse a far entrare in parlamento 20-30 deputati come candidati indipendenti potrebbe arrivare a formulare una coalizione con l’AKP spingendolo a fare riforme anche verso questa spinosa questione. Il premier, che fino a ieri non chiudeva la porta a questa eventualità, oggi dice esattamente il contrario e addirittura dichiara che se non riuscirà a governare da solo si ritirerà dalla politica. Una nuova strategia per accattivarsi il suo elettorato che non vede di buon occhio i curdi?
Ora questo omicidio che incombe sul Paese alla vigilia delle elezioni farà cambiare il pensiero e le paure della gente o si riuscirà a farlo passare inosservato? Certo è che non è un buon presupposto per la democrazia tanto auspicata a parole da tutti…
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