“La Cina è in salute, ma non deve sottovalutare la crisi globale in atto”
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – L’economia cinese è in buona salute, ma non deve sottovalutare le ripercussioni della crisi finanziaria globale, che già ha colpito i mercati azionari anche dell’Asia e che potrà causare una contrazione della domanda estera di merci, con conseguenze sulle forti esportazioni del Paese. E’ l’opinione di Zhou Xiaochuan, capo della centrale Banca del popolo di Cina, che ha illustrato ieri al Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo che la situazione della Cina è migliore di tanti altri Paesi, perché ha sufficiente liquidità e le sue istituzioni finanziarie hanno basi solide.
Zhou (nella foto) spiega che il collasso delle borse, la disoccupazione record negli Stati Uniti, la recessione in atto nell’Unione europea e che si profila pure in Giappone, potranno far diminuire la domanda di prodotti cinesi, da sempre destinati anzitutto a questi mercati. Diminuzione solo in parte compensata dalla possibile conseguente diminuzione dei prezzi e della spinta inflattiva. “La Banca centrale cinese – dice – prevede di adottare politiche monetarie flessibili e caute, per rendere stabile l’inflazione [interna], lo yuan e il mercato finanziario”. Previsto anche uno stretto controllo della liquidità, dei finanziamenti e dei flussi di capitale da e verso l’estero, per evitare fluttuazioni incontrollate della moneta e del mercato finanziario.
E’ un dato di fatto che negli ultimi mesi, da quando si è profilata la crisi finanziaria mondiale, lo yuan, da sempre strettamente controllato da Pechino, ha cessato di apprezzarsi sul dollaro, restando stabile o addirittura perdendo valore. Mentre il governo ha annunciato varie misure intese a favorire il consumo interno: come un taglio alle imposte sui prodotti per il mercato interno e la promessa di maggiori investimenti in opere pubbliche.
Le economie asiatiche, memori della disastrosa crisi del 1997, hanno tutte ampie riserve di pregiata valuta estera. Tra loro la Cina si distingue per riserve stimate pari a circa 1,8 trilioni di dollari Usa, anche se si tratta di somma che oggi serve soprattutto a sostenere il debito Usa e che non può essere monetizzata e immessa nel mercato interno in tempi brevi.
Da mesi il segretario Usa al Tesoro Henry Paulson cerca di attirare maggiori investimenti cinesi nell’economia degli Stati Uniti e di convincere Pechino ad aprirsi sempre più alle merci delle ditte Usa.
Altri economisti ritengono che l’Asia, e la Cina per prima, possano chiedere un “ripensamento” delle istituzioni finanziarie internazionali, assumendovi maggiore forza, in corrispondenza con la loro aumentata potenza economica.
Intanto Pechino è molto cauta: ieri il premier Wen Jiabao, concludendo l’incontro Asia-Europa a Pechino, ha promesso che la Cina “avrà un ruolo attivo” nel summit di novembre tra le 20 maggiori economie mondiali. Ma non si è spiegato meglio.
Di certo ancora nessuno può dire quanto la crisi in atto inciderà sulla crescita cinese e nei giorni scorsi Justin Yifu Lin, economista capo della Banca mondiale e già professore dell’Università di Pechino, ha stimato poter essere nel 2009 tra l’8 e il 9%, contraddicendo altre stime più pessimiste. (PB)