“Di facciata” le concessioni della giunta birmana per compiacere l’Onu
Yangon (AsiaNews) – La Lega nazionale per la democrazia (Nld) si dice soddisfatta per la liberazione di Win Tin, giornalista dissidente di 79 anni gli ultimi 20 dei quali trascorsi in carcere, e ribadisce che continuerà la battaglia per ottenere la revoca degli arresti domiciliari per Aung San Suu Kyi e la scarcerazione di altri 2000 dissidenti politici, ancora rinchiusi nelle prigioni birmane.
Ieri il regime militare ha rilasciato 9002 detenuti, ma solo una minima parte era agli arresti per reati di opinione; fra i sette attivisti liberati vi sono un famoso scrittore birmano – Aung Soe Myint – e quattro esponenti della Nld: Khin Maung Swe, May Win Myint, Win Htein e Than Nyein.
Win Tin (nella foto) è il più famoso prigioniero politico del Myanmar: in passato egli ha diretto l’influente quotidiano nazionale Hanthawaddy, ha ricoperto la carica di vice-presidente del sindacato degli scrittori e ha svolto un ruolo di primo piano nelle rivolte del 1988, in seguito alle quali è stato arrestato con l’accusa di “propaganda anti-governativa” e detenuto nella prigione di Insein, a Yangon, fino alla liberazione. Fonti vicine al giornalista dissidente riferiscono che è stato rilasciato “in buone condizioni di salute” – pur avendo sofferto, in passato, di problemi cardiaci e alla prostata – e “senza condizioni”. Durante il regime carcerario, le autorità gli hanno più volte negato “cure mediche adeguate” e la “possibilità di scrivere”.
Secondo alcuni dissidenti birmani in esilio, la liberazione è da mettere in relazione con l’Assemblea generale dell'Onu in programma in questi giorni a New York, quale segno di “apertura” dei militari dopo le critiche di Stati Uniti e una parte della comunità internazionale per il mancato rispetto dei diritti umani. Nell’ultimo mese, peraltro, la giunta birmana ha arrestato 39 attivisti fra cui Nilar Thein, altra esponente della “generazione dell’88” protagonista delle dimostrazioni contro la dittatura e ancora oggi in carcere.
Per scongiurare rivolte analoghe a quelle avvenute nel settembre del 2007 (in cui morirono monaci e dimostranti falciati dalla repressione scatenata dal regime), la giunta al potere ha aumentato la censura verso i siti internet e ha bloccato le comunicazioni con l’esterno. Dal 18 settembre – anniversario del massacro – e per diversi giorni il sito dell’Irrawaddy, giornale dell’opposizione in esilio, le agenzie Democratic Voice of Burma e New Era non erano visitabili perché vittime di un attacco informatico, dietro al quale si cela la lunga mano dei militari. Per rendersi conto della censura operata dal regime, basta provare a inserire digitare il nome di Aung San Suu Kyi sul motore di ricerca google.com (si ottengono circa un milione e mezzo di voci), e ripetere l’esperimento nel riquadro di google presente sul sito internet dell’organo di stampa governativo New Light of Myanmar: solo 6 le voci che appaiono.
Difficili, infine, anche le comunicazioni telefoniche con il Myanmar.