“Con l’uscita della Nato, l’Afghanistan dovrà guardarsi dai Paesi vicini”
Fonti di AsiaNews parlano di come sarà l’Afghanistan del prossimo futuro. Un Paese stanco della guerra, vuole tornare a una vita normale, ma si scontra con la diffusa corruzione politica e gli ‘appetiti’ degli Stati confinanti. E c’è anche chi fa compromessi con i talebani.
Kabul (AsiaNews) – “Il vero problema non è quando le forze militari occidentali lasceranno il Paese, ma che tipo di Afghanistan ci sarà: se la classe politica ed economica sarà in grado di reggersi con le proprie forze, contro il rischio di un golpe militare o di ingerenze dei Paesi limitrofi”. Mentre in Italia e in altri Paesi esplode la polemica su quando ritirare i militari dall’Afghanistan, fonti locali descrivono ad AsiaNews un Paese stanco di guerra e attentati.
“Si sapeva dall’inizio – dice una fonte, che ha chiesto l’anonimato – che le forze militari estere sarebbero dovute andare via, prima o dopo. Eppure per tanto tempo si è pensato a creare l’esercito afghano, piuttosto che a realizzare i programmi sociali che sono alla base di una democrazia: ospedali, strade, scuole, edilizia popolare. L’esercito afghano all’inizio doveva essere di 80mila uomini, ora siamo a oltre 200mila, con equipaggiamento moderno: qui è finita molta parte dei fondi internazionali. Invece le opere e le infrastrutture civili sono state fatte in gran parte con fondi privati”.
Per la nostra fonte, la discussione se armare di più le forze Nato è “un falso problema”. “Da quasi 10 anni – dice - sono qui le forze Nato, l’esercito afghano, le guardie armate private, i servizi segreti, e non sono riusciti a debellare i guerriglieri talebani. Peraltro, ormai tutti sanno che i campi di addestramento e le roccaforti talebane non sono qui, ma in Paesi vicini come il Pakistan”.
“Anche la popolazione civile è spesso stanca di quelle che molti chiamano ‘le forze di occupazione’. La gente desidera un poco di pace, di benessere, vuole le strade libere da misure di protezione contro gli attentati, vuole che cessino gli attentati quotidiani. Dopo tutti questi anni, non appare probabile che i talebani possano tornare al potere, hanno contro la società civile, soprattutto le donne che sono il motore dello sviluppo afghano”.
“Ma quando le forze occidentali andranno via, sarà fondamentale che il Paese sia preparato non solo da un punto di vista militare, ma anche politico ed economico. Occorre che la classe politica sia attenta ai problemi del Paese e non corrotta. Ad esempio, pochi in Occidente hanno parlato del recente fallimento della Kabul Bank, importante banca privata afghana. Le sono state sottratte ingenti somme, finite a Dubai, moltissimi risparmiatori hanno perso il loro denaro. Pare che il vicepresidente della banca fosse fratello del presidente afghano Hamid Karzai”.
“L’Afghanistan avrà bisogno dell’aiuto dei Paesi vicini. Ma dovrà avere abbastanza forza da restare autonomo. Molte nazioni confinanti vogliono estendere qui la loro influenza, specie quelle che hanno radici etniche comuni con parte della popolazione locale, come tagiki, uzbeki, ma soprattutto il Pakistan”.
La polemica degli ultimi giorni verte sui fondi militari Usa e di donatori internazionali, destinati a progetti edili e per infrastrutture civili, che sono invece finiti nelle mani dei talebani. Mohamed Ehsan, titolare di una ditta di costruzioni, ha ammesso di avere dato ai ribelli oltre 200mila dollari, destinati alla riparazione di una strada nella provincia Logar, quale riscatto dopo che gli avevano rapito il fratello.
Anche anziani di vari villaggi hanno ammesso di avere dovuto versare ai talebani parte sostanziose di finanziamenti ricevuti per compiere opere pubbliche: Aslam Jan del villaggio Baraki (Logar) ha dovuto dare loro circa 4mila dei 10mila dollari ricevuti per opere pubbliche.
“Sono voci che si rincorrono ormai da anni – dicono le fonti – e che esplodono in momenti particolari, ad esempio dopo gravi attentati. E’ difficile sapere quanto ci sia di vero”.
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