È allarme epidemie e fame per i superstiti di Nargis
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – È allarme epidemie e fame per la popolazione birmana colpita dal devastante ciclone Nargis lo scorso 3 maggio. Secondo il direttore di Save The Children per la ex Birmania, Andrew Kirkwood, sono "milioni" i senzatetto nel sud del Paese e con il ritiro delle acque migliaia di cadaveri si stanno decomponendo e rischiano di causare epidemie. Il bilancio ufficiale delle vittime ieri sera ha supertao i 22mila morti a cui si aggiungono 41mila dispersi, “ma si presume che la maggior parte di loro siano morti", ha spiegato Kirkwood. Le numerose perdite umane sono da imputare all'onda anomala che si è irradiata nel delta dell'Irrawaddy in seguito all’innalzamento delle acque marine provocato dalle raffiche di vento di Nargis.
L’emergenza sanitaria
L’Unicef avverte l’urgenza vitale che gli aiuti arrivino il prima possibile. In un comunicato l’agenzia Onu per l’infanzia spiega che i superstiti del disastro ora vivono in preoccupanti condizioni igieniche e senza accesso ad acqua potabile. Lo spettro che incombe è quello di malaria, febbre dengue, ma anche colera e dissenteria. Il World Food Programme sta distribuendo biscotti energetici e altri generi alimentari ad una parte degli sfollati intorno a Yangon, la ex capitale, e fa sapere che domani nuovi carichi di aiuti saranno inviati a Labutta, la zona più colpita. La giunta militare al momento ha aperto agli aiuti internazionale solo attraverso le Nazioni Unite e ha accettato “negoziati” con le Ong che vogliano entrare nel territorio per interventi umanitari.
Usa, Gran Bretagna, Unione Europea e Cina hanno stanziato fondi per l’emergenza. La Francia ha ridimensionato gli aiuti, accusando il regime militare di non collaborare in modo trasparente. India e Thailandia hanno già inviato aiuti via cielo e mare.
E quella alimentare
Alcune zone costiere risultano ancora isolate, i soccorsi non arrivano e ci sono persone che non sanno come nutrirsi. Il rischio crisi alimentare è concreto se si considera che il ciclone ha distrutto la maggior parte delle risaie nella zona dell’Irrawaddy, che si stavano preparando al raccolto dopo la stagione invernale. Questa è la regione che produce la maggior parte del riso del Myanmar, uno dei primi produttori mondiali di questo alimento. Una volta accertata la dimensione dei danni, si temono ripercussioni su tutto il sistema mondiale dei prezzi delle derrate alimentari, già in forte impennata in questo periodo.
La carenza di cibo nel Paese ha portato alle stelle i prezzi dei generi di prima necessità. Il rischio è che la drammatica situazione faccia da catalizzatore a proteste popolari tanto più in questo momento, ad appena tre giorni dal controverso referendum costituzionale. Il costo dell’olio da cucina e delle uova è quasi raddoppiato in una notte. Pollo e maiale costano tre volte di più, mentre il prezzo della benzina è duplicato. “La gente – racconta uno studente a Yangon – sente di non avere più niente da perdere e tornerà in piazza contro il regime”. Tra agosto e settembre scorso proprio l’aumento ingiustificato del prezzo della benzina aveva avviato le manifestazioni guidate dai monaci buddisti, poi represse nel sangue. Nell’ottica dei birmani, legati a credenze superstiziose come molti altri popoli asiatici, quando un disastro naturale colpisce il Paese è indice che il governo al potere ha perso il suo “mandato divino” e deve quindi essere sostituito.