Yogyakarta: focolaio Covid al Saint Anna Nunnery, 55 contagi fra suore e personale
Le autorità ecclesiastiche locali e nazionali seguono da vicino l’evolvere della situazione, secondo il principio della massima trasparenza. All’interno del convento ospitate religiose in pensione e giovani suore che operano nella sanità. Crescono le vittime cattoliche della pandemia. Il presidente Widodo ordina un lockdown parziale a Java e a Bali.
Jakarta (AsiaNews) - Un focolaio di Covid-19 è divampato all’interno del Saint Anna Nunnery in Colombo Street a Yogyakarta, nell’isola di Java, una struttura gestita dalle suore dell’ordine di san Carlo Borromeo. In una sola giornata i tamponi effettuati all’interno del convento hanno dato almeno “25 risultati positivi fra le religiose e altri 29 fra il personale dipendente” come ha confermato ad AsiaNews la superiora suor Yustiana Wiwiek Iswanti.
In una parte dell’edificio sono ospitate le suore anziane o in pensione, che in base all’età sono da considerare più a rischio in caso di infezione da nuovo coronavirus. A queste si uniscono anche religiose giovani e in attività, che alloggiano nel convento ma operano in strutture sanitarie o socio-assistenziali della città. “Vi sono almeno 198 persone al suo interno - riferisce suor Iswanti - considerando le religiose e i dipendenti, fra cui infermieri, assistenti e personale amministrativo”.
Fin dall’inizio della pandemia il convento ha applicato rigidi protocolli per evitare focolai al suo interno, anche in considerazione della popolazione anziana che ospita. “La nostra congregazione - aggiunge la religiosa - è conosciuta per l’apostolato nel sociale e nella settore della sanità”. Accanto alla struttura principale sorge la casa madre delle suore di san Carlo Borromeo e, poco distante, vi è anche l’ospedale Panti Rapih, secondo nosocomio cattolico dello Java centrale inaugurato nel 1929.
La notizia delle decine di positività emersa durante un controllo a tappeto il 27 gennaio scorso ha sollevato comprensibili timori oltre a determinare una serie di provvedimenti parte di un protocollo obbligato in caso di focolaio. Fra quanti seguono da vicino l’evolvere della situazione vi è anche mons. Robertus Rubiyatmoko, arcivescovo di Semarang e il presidente della Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) card. Ignatius Suharyo.
I responsabili del convento hanno fin da subito deciso di adottare la politica della massima trasparenza, unita al monitoraggio costante delle condizioni delle suore e dei dipendenti. La gran parte vengono osservati e curati da medici e infermieri del Panti Rapih Hospital in opportune stanze per l’isolamento, anche perché non è possibile un ricovero in massa nel vicino ospedale che accoglie degenti non-Covid e rischierebbe così di amplificare oltremodo i contagi.
Intanto in tutto l’arcipelago indonesiano aumenta la conta delle vittime di Covid-19, anche all’interno della comunità cattolica. L’ultima in ordine di tempo è suor Florentina Sihombing, un medico che con tutta probabilità ha contratto il virus in corsia. Ad AsiaNews la consorella suor Elisabeth nel North Sumatra spiega che “per tutto il periodo natalizio migliaia di turisti si sono riversati in massa al lago di Toba, dove la suora operava nel vicino centro di Pangururan”.
Ai primi di gennaio era deceduto p. Fabianus Teddy Aer, della congregazione della Sacra Famiglia nel Kalimantan e qualche giorno più tardi i confratello Hardianus Usat. Di nuovo coronavirus è morto anche l’ex arcivescovo di Medan e amministratore apostolico di Sibolga mons Anicetus B. Sinaga. Fra le vittime vi sono anche il prete gesuita p. R. Maryono a Semarang e fratel Stevanus Prihana, un giovane gesuita di Jakarta.
Di fronte a una escalation dei contagi e a una campagna vaccinale ancora agli albori, il presidente Joko Widodo ha imposto un lockdown parziale a Java e a Bali, le due regioni più popolose del Paese. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria in Indonesia si sono registrati 1,02 milioni di contagi, oltre 831mila guarigione e 28.855 vittime ufficiali.