21/04/2023, 10.53
YEMEN
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Yemen, vicario d’Arabia: cristiani seme di speranza tra gli spiragli di pace

di Dario Salvi

Mons. Martinelli auspica una “ripresa di una vita normale” in una nazione martoriata da anni di guerra. La situazione “in miglioramento” pur rimanendo sempre “delicata”. Il ricordo di papa Francesco delle suore uccise ad Aden “segno di grande affetto e vicinanza”. Il loro martirio fonte di “riconciliazione” per il futuro. la presenza delle religiose di Madre Teresa oggi.

Milano (AsiaNews) - Le parole di papa Francesco sulle suore uccise in Yemen “un segno di grande affetto e vicinanza” ai cristiani e a tutta la popolazione, oltre a rappresentare un’ulteriore “attenzione” ad una nazione martoriata “dalla guerra”. É quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen) a Cipro per partecipare al simposio promosso dal Dicastero per le Chiese orientali dal 20 al 23 aprile, commentando le parole del pontefice all’ultima udienza. Per il presule è “significativo” il fatto che le abbia chiamate “per nome” nel contesto di una “catechesi sul senso cristiano del martirio” perché aiuta a coglierne appieno “il sacrificio” facendolo diventare fonte “di speranza, riconciliazione e pace per il futuro”. Un monito importante, in una fase che potrebbe risultare decisiva per il futuro all’indomani della ripresa delle relazioni fra Riyadh e Teheran e dei colloqui in corso, con relativo scambio di prigionieri, fra sauditi e ribelli Houthi. “Tutti speriamo - afferma mons. Martinelli - che si possa giungere alla pacificazione” per favorire la consegna di “aiuti umanitari”, per poi aggiungere che, attraverso le testimonianze che egli stesso ha raccolto, la situazione “è in miglioramento, sebbene rimanga sempre delicata”.
Di seguito, l’intervista al vicario d’Arabia:

La ripresa delle relazioni fra Riyadh e Teheran sembra poter sbloccare anche la questione yemenita. Ci sono prospettive di pace, o quantomeno di tregua duratura?
[Sul fronte diplomatico] anche io ho letto queste notizie sui giornali. Tutti speriamo che si possa giungere alla pacificazione e si possano fare arrivare presto tutti gli aiuti umanitari necessari ad una ripresa di una vita normale. Dalle notizie dirette che ricevo, ho conferma che concretamente la situazione è in miglioramento, sebbene rimanga sempre delicata.

Che testimonianze le arrivano dal Paese, soprattutto da un punto di vista umanitario?
Le notizie sono ancora poche. Si sa che fino ad ora alcune ong hanno potuto agire in mezzo a tanti pericoli. Anche la Caritas è presente sul territorio con alcuni progetti.

Come vivono questa nuova fase i cristiani nello Yemen?
Come si sa, i cristiani in questi otto anni di guerra sono diminuiti molto. Tanti hanno dovuto lasciare lo Yemen non avendo più lavoro ed essendo pericoloso per loro restare. Ne sono rimasti alcuni. Sono rimasti in genere i cristiani nativi, anche se non ci è possibile dare dei numeri precisi. In ogni caso non parlerei già di un loro “ritorno” in senso proprio, quanto piuttosto dell’inizio di un nuovo processo e guardiamo con speranza per il futuro. 

Che valore ha il ricordo fatto da papa Francesco dell’opera delle missionarie della Carità e del loro sacrificio di fede nello Yemen?
È un segno di grande affetto e di vicinanza ai cristiani e a tutta la popolazione dello Yemen. Del resto papa Francesco aveva ripetutamente, anche in passato, manifestato la sua attenzione a questo popolo lungamente martoriato dalla guerra. Ma questa volta è stato molto significativo che il pontefice abbia chiamato per nome queste sorelle, nel contesto di una catechesi sul senso cristiano del martirio come suprema testimonianza di amore. Inoltre questo ricordo aiuta a comprendere il sacrificio di quelle sorelle come un segno di speranza, riconciliazione e pace per il futuro.

Lei stesso, poco dopo la nomina, aveva ricordato il loro coraggio nella fedeltà alla missione. A un anno di distanza restano sempre una fonte di ispirazione e di testimonianza?
Certamente. Come ha ricordato il papa, non si uccide in nome di Dio, ma per Dio si può dare la vita. E queste suore hanno dato la vita. Il dono che hanno fatto della loro vita è un punto di riferimento fondamentale per tutti. Ci richiamano al fatto che tutti siamo chiamati a dare testimonianza di Cristo e del suo amore.

Cosa rappresentano le religiose in una prospettiva missionaria? E quanto è vivo il loro ricordo oggi ad Aden e fra i cristiani del Vicariato?
La testimonianza delle suore Missionarie della Carità è per me fondamentale. Loro mostrano bene che cosa voglia dire essere missionari, evitando ogni forma di proselitismo, promuovendo opere di carità e di concreta vicinanza al popolo. Nel nostro vicariato celebriamo ogni anno nelle messe le sorelle che sono state uccise in Yemen e il loro ricordo è vivo in tutti i fedeli. 

Vi è ancora oggi una presenza delle religiose in Yemen. Come prosegue la loro opera? 
Oggi abbiamo due comunità delle suore missionarie di Madre Teresa di Calcutta e continuano a svolgere lo stesso servizio di carità, accogliendo persone malate ed anziane e servendole con amore e dedizione. Il fatto che siano rimaste nonostante quanto accaduto nel 2016 è segno grande di amore fedele alla propria missione. Ci sentiamo spesso. L’ultima volta lo abbiamo fatto per il Lunedì dell’Angelo e, con loro, vi era anche il sacerdote che presta servizio nella comunità: abbiamo fatto una lunga conversazione e abbiamo pregato insieme.

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