08/10/2024, 12.44
THAILANDIA - GAZA
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Watchara Sriaoun, il cristiano thai da un anno nelle mani di Hamas

In una chiesa della provincia di Udon Thani la famiglia del 32enne lavoratore migrante ha promosso una veglia per chiederne il rilascio. Insieme a cinque suoi connazionali e almeno un nepalese sono i volti dimenticati della tragedia. Le lacrime della madre Wiwwaro che invoca la fine di questa “guerra brutale” in cui “tutti hanno sofferto abbastanza”. La scorsa settimana la premier Shinawatra ha incontrato il presidente iraniano chiedendo di mediare per la liberazione.

Bangkok (AsiaNews) - In una chiesa del nord-est della Thailandia, la famiglia Sriaoun si è riunita nel fine settimana per pregare e rilanciare un appello per la liberazione del proprio congiunto, da un anno nelle mani di Hamas a Gaza. Watchara Sriaoun è uno dei sei lavoratori migranti thai - su un totale di 41 iniziali - ancora detenuto dall’ottobre dello scorso anno dai miliziani che controllano la Striscia. Per 12 lunghi mesi i parenti, assieme agli amici e ai fedeli della comunità cristiana protestante locale, hanno promosso veglie di preghiera per il suo ritorno, finora invano, e anche le notizie sulla sua sorte sono frammentarie. 

Il 32enne lavoratore migrante è originario del villaggio di Kut Yang, nella provincia di Udon Thani, nel nord-est del Paese ed è stato catturato il 7 ottobre, giorno dell’assalto, mentre si trovava all’interno del kibbutz di Nir Oz. “Possiamo solo pregare Dio” ha sottolineato Wiwwaro Sriaoun, madre di Watchara. “Chiedere alla gente non ci fa ottenere alcuna risposta, e anche il capo del villaggio o il responsabile non possono confermare nulla” sulla sorte dell’uomo. 

Ieri 7 ottobre, ad un anno dall’attacco di Hamas in Israele che ha innescato la guerra a Gaza, fra le varie commemorazioni per vittime e ostaggi si sono tenute celebrazioni e veglie di preghiera anche nei Paesi di origine dei lavoratori stranieri nelle mani del gruppo estremista che controlla la Striscia. Migranti provenienti da varie nazioni dell’Asia, dalla Thailandia al Nepal, alcuni dei quali da un anno nelle mani dei sequestratori e che, a più riprese, sono stati definiti il “volto dimenticato” di questa tragedia perché su di loro è calato a lungo il silenzio e la loro sorte rimane ad oggi “incerta”.  Fra questi vi sono alcuni cittadini thai, per il cui rilascio si sta muovendo da tempo anche il governo di Bangkok: l’ultimo tentativo la scorsa settimana, quando la premier Paetongtarn Shinawatra ha incontrato il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, chiedendo il sostegno di Teheran nella liberazione dei migranti thai. In precedenza, l’esecutivo aveva bussato alle porte di altri intermediari fra il quali il Qatar e, sempre a Teheran, quando alla presidenza vi era il defunto Ebrahim Raisi. 

Durante l’attacco ribattezzato “alluvione Al-Aqsa” da parte di Hamas sono rimasti uccisi almeno 41 lavoratori thai, mentre una trentina sono stati sequestrati. All’epoca il rimpatrio delle salme delle vittime aveva destato profondo cordoglio in tutto il Paese del sud-east asiatico e, al tempo stesso, ha ricordato la dipendenza di Israele dai lavoratori stranieri, in particolare nell’agricoltura, molti dei quali provenienti dall’Asia. Prima dell'attacco, si stima che circa 30mila immigrati thailandesi lavorassero in Israele.

Nelle settimane successive si è registrato un esodo col governo di Bangkok impegnato a organizzare l’evacuazione e il rimpatrio di almeno 12mila concittadini, che hanno preferito rinunciare al compenso a fronte del timore di un nuovo attacco, tornando così nel Paese di origine. Trascorso qualche tempo, e superata la prima fase di profondo shock, si è verificata una ulteriore inversione di tendenza con circa 600 thai che, a inizio anno, sono tornate in Israele a dispetto della guerra in corso. Nei mesi scorsi anche il ministro thai del Lavoro Phiphat Ratchakitprakarn si è recato in visita in Israele per sollecitare un aumento delle quote di lavoratori immigrati, la maggior parte dei quali proviene da aree come la provincia di Buriram. In Israele lavorano come braccianti e giardinieri e possono guadagnare fino a 1.800 dollari al mese. 

Watchara e il fratello minore si sono recati in Israele nel 2020, nella speranza di saldare il debito della famiglia di circa 300mila Baht (poco meno di 9mila dollari) e di guadagnare denaro per le spese mediche del padre. Insieme, hanno inviato a casa 50mila Baht al mese per contribuire alle spese della famiglia e a ristrutturare la casa nel cuore rurale della Thailandia; dopo qualche tempo il più piccolo è rientrato a casa su richiesta della madre.

Con una parte del risarcimento di 3 milioni di baht ricevuto a luglio dal governo israeliano, la famiglia ha saldato il debito e ha acquistato un terreno che lo steso Watchara aveva promesso di comprare per sua madre. Oggi la sua assenza, e la mancanza di notizie certe, si fanno sentire ogni giorno di più, anche e soprattutto per la figlia dell’uomo, Irada di nove anni, che nell’agosto scorso ha perso anche la madre. “Vorrei che questa guerra brutale finisse” ha detto dichiarato alla Reuters Wiwwaro, con le lacrime agli occhi. “Tutti hanno sofferto abbastanza, e anch’io ho sofferto troppo nella vana attesa di mio figlio”.

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