Volontario cristiano filippino: La speranza del Giappone dopo la catastrofe
Kamaishi (AsiaNews) – Uno studente filippino dello scolasticato dei gesuiti di Tokyo è andato volontario ia Kamaishi, una città del nord del Giappone per aiutare dopo lo tsunami. Ci ha inviato il suo racconto di quell’esperienza.
“Quando il rettore dello scolasticato dei gesuiti a Tokyo, p. Juan Haidar, mi ha chiesto se fossi interessato ad andare volontario con la Caritas per aiutare dopo lo tsunami, all’inizio ho esitato, perché la mia padronanza del giapponese non è buona. Ma ho risposto di sì, nonostante questo limite, e i rischi. Mi sono trovato in un gruppo di cinque uomini e sette donne. Non ci conoscevamo, prima di quel momento. James Bony, un gesuita indiano e io eravamo i soli cristiani del gruppo.
Il 5 aprile siamo partiti per la città costiera di Kamaishi nel nord del Giappone. Kamaishi è una delle città duramente colpite dallo tsunami. E’ la città in cui una grande nave è andata a schiantarsi a riva. Il terreno era coperto di relitti; c’era di tutto, dai vecchi giocattoli fino a un piccolo pescecane.
Per una settimana ci siamo accampati in un piccolo convento non troppo colpito dallo tsunami, perché sia il convento che la cappellina sono un’altura. Ci è stato spiegato il nostro compito: pulire le case vicine, devastate dallo tsunami; aiutare nella distribuzione degli aiuti; preparare il cibo per le persone colpite dal disastro.
Le operazioni di sgombero erano faticose, e pericolose. I volontari dovevano portare via dalle case e intorno alle case i detriti più disparati: assi di legno, pezzi di automobili, containers pieni d’acqua, persino una pesante scala che l’onda aveva depositato sul prato. I detriti in certi punti erano alti vari metri. Scavavamo con le vanghe, o con le mani per poi depositare il materiale in un campo vicino. Dalla discarica emanava un odore di acqua di mare marcita, le cose che lo tsunami aveva gettato nella città. Parecchi volontari si sono trovati a camminare su assi da cui sporgevano chiodi, arrugginiti. Dovevano farsi medicare e ricevere un immediato trattamento contro il tetano. Anch’io mi sono trovato in pericolo, quando un asse pesante che portavo è rimasto impigliato in una macchina rovesciata.
Un giorno stavamo pulendo la casa di una donna di 80 anni. In bilico sul cornicione della casa, cercavamo di togliere i detriti tramite una finestra, così da poter raggiungere la porta e aprirla dall’interno. Dopo varie ore di lavoro abbiamo fatto una pausa. Quando la donna ha scoperto che ero filippino, la sua espressione è cambiata. Non riuscivo a capire che cosa diceva, ma sentivo la sua gratitudine. Ci ha anche dato delle banane filippine come merenda!
Dopo una lunga giornata di lavoro, mentre stavo pulendo la mia tuta sporca, una religiosa mi ha chiesto se ero esausto. Le ho risposto che il lavoro era pesante, ma che come volontario almeno avevo la possibilità di riposare un poco. Nel giro di una settimana, sarei stato di nuovo nella comodità dello scolasticato. Per molti in città non ci sarebbero state opzioni, questa città devastata era la loro unica casa.
Un altro incarico a cui sono stato assegnato era in un magazzino di vestiti, donati da tutto il Giappone. Un vigile del fuoco in pensione era il nostro capo. Fu sorpreso nel sapere che venivo dalle Filippine, e che ero in Giappone solo da due settimane. Nel mio ultimo giorno di lavoro, mentre eravamo impegnati a ordinare calzini, il vigile del fuoco ci ha chiamati da parte e ha detto: sono le 2.45. L’allarme tsunami è suonato, in ricordo della tragedia. Un mese prima lo tsunami aveva distrutto Kamaishi. E’ stato un momento di grande emozione. Nelle strade e nelle case una “x” ricorda il luogo in cui è stata trovata una persona morta.
Mentre continua lento e sicuro il lavoro di ripulitura, l’atmosfera a Kamaishi è ancora tesa. Una sera, verso le 23, un terremoto forte ha colpito la zona. L’elettricità è andata via, e la gente ha cominciato a correre fuori dalle case. Il nostro capo Rintaro Takesue, ha fatto l’appello e siamo andati su un’altura di fronte al mare. La gente del vicinato si è assicurata che non mancasse nessuno; c’era chi aiutava un uomo di 90 anni, che aveva difficoltà a percorrere la salita, c’era chi spingeva la carrozzella di una vecchietta.
Un camion dei vigili del fuoco ha puntato un faro verso l’oceano, mentre ascoltavamo gli annunci che dicevano dove lo tsunami avrebbe colpito. I volti della gente erano pieni di ansia. Alcuni volontari hanno cominciato a piangere. Ho chiamato lo scolasticato a Tokyo, affinché informassero qualcuno della provincia delle Filippine che stavo bene.
Il giorno dopo, non c’era ancora elettricità, e la gente non era tranquilla. Il convento aveva appena ricevuto la sua parte di aiuti dalla Caritas e ha aperto la casa a tutti quelli che avevano bisogno di qualcosa. Per alleggerire la tensione, ho sistemato le offerte di cibo come se fossimo in un supermercato. Questo mi ha guadagnato il nomignolo di “Mitsukoshi”, una catena di negozi molto popolare in Giappone. E’ stata una tale gioia quando ho visto una bambini di cinque anni indicare delle caramelle che avevo sistemato strategicamente su uno scaffale basso: ha chiesto permesso a sua mamma, e ne ha messe alcune nella borsetta.
Mio padre mi raccontava come dopo un tifone, da bambino, attendeva ansiosamente di sentire il rumore delle scope sul terreno. Associava quel rumore con la speranza. E’ il rumore di persone che lavorano per rimettere a posto le cose dopo la devastazione, il rumore di gente che spera di nuovo e si muove verso il futuro.
Molti dei volontari mi hanno fatto domande sulla fede, e sulla vita. Anche se non siamo in grado di capire il senso di una tale tragedia, noi volontari sentiamo che in qualche modo attraverso la nostra esistenza siamo stati strumenti di speranza. Forse, anche se veniamo da fedi diverse, se esprimiamo speranza in tempi così incerti, imperfettamente, e senza esserne consci riflettiamo e facciamo da eco alla più grande speranza che è Dio”.
(Ha collaborato Nirmala Carvalho)