24/02/2010, 00.00
SRI LANKA
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Vivere da profughi con 250 grammi di riso al giorno

di Melani Manel Perera
E’ la razione standard che l’Organizzazione mondiale per il cibo dà ogni giorno al profugo ospitato nei campi statali. Prive di sussidi statali, decine di migliaia di famiglie vivono con aiuti privati. E attendono di poter tornare alle loro case e terre, ritorno che appare sempre meno facile.

Colombo (AsiaNews) – “Tra le molte famiglie sfollate della regione di Vanni [per la guerra civile tra esercito e Tigri Tamil], circa 3384 famiglie hanno raggiunto la penisola di Jaffna e tra loro circa 850 famiglie continuano a stare nel campo profughi Allar-Kodigamam. Le altre vivono con parenti. Questi profughi sono pescatori, ma ora non possono esercitare l’unico mestiere che conoscono e vivono solo con le razioni di cibo fornite dall’Organizzazione mondiale per il cibo (Wfo), nonché con l’aiuto della Caritas di Jaffna e dei padri Gesuiti”. AsiaNews ha raccolto la testimonianza di Anthony Jesudasan, coordinatore del gruppo “Dialogo della gente per la pace e lo sviluppo sostenibile”, del Movimento nazionale di solidarietà dei pescatori, che di recente ha visitato Jaffna e il 22 febbraio ha tenuto una conferenza stampa.

“Ogni profugo riceve dal Wfo 250 grammi di riso, 20 grammi di zucchero, 20 grammi di dhal e 50 millilitri di olio di cocco al giorno, gli viene dato una volta la settimana. La Caritas di Jaffna e i padri gesuiti danno loro, quando possono, carne, pesce, patate e altro”.

“Di recente –prosegue Jesudasan- agli uomini è stato consentito di uscire dal campo Kodigamam per 10 giorni, per cercare lavoro e guadagnare qualcosa per il mantenimento. I giovani sono andati nelle zone vicine per cercare lavoro e comprare cibo, vestiti, giocattoli per i bambini. Ma non hanno guadagnato molto”.

I padri gesuiti che seguono queste famiglie spiegano che “qualcuno ha denaro e le famiglie hanno i mariti, padri, fratelli che guadagnano qualcosa e portano da mangiare e giocattoli per i bambini… ma ci sono famiglie molto più misere che nella guerra hanno perso mariti, padri, fratelli e nessuno esce dal campo per guadagnare denaro per mogli e figli… I bambini che hanno perso il padre sono davvero tristi. Non è possibile descrivere la tristezza nei loro occhi”.

“Molte vedove – racconta Jesudasan - hanno 3-4 bambini. A questi nessuno porta il cibo, nessuno dà latte in polvere, vestiti, assicura di che vivere… Questi bambini vivono maggiori difficoltà degli altri bambini profughi”. “Le vedove hanno persino difficoltà ad ottenere il certificato di morte del marito e di altri familiari e il certificato di nascita dei bambini”.

Jesudasan conclude che questa gente deve poter tornare alle proprie case, alla terra da coltivare, al modo di vita che aveva in precedenza, libero e senza restrizioni. Ricorda che intere comunità Tamil hanno vissuto come profughi per molti anni e hanno perso terre, case, ogni cosa. Sollecita programmi per i giovani, che rischiano di non sapere né riadattarsi allo stile di vita precedente né vivere nella grande città. Ma ricorda pure che le terre fertili, abbandonate per la guerra, in qualche caso sono state occupate, ad esempio con una gigantesca costruzione della società Hellys, nel meridione, oppure con il progetto di trasformare l’area di Sarthy in una zona turistica, non restituendo queste terre ai loro proprietari. Racconta come alcuni pescatori sono tornati a pescare e hanno portato il pescato a Colombo, ma personale di sicurezza li ha fermati e si è preso il pesce, senza pagare.

Conclude che il problema futuro sarà anche la convivenza tra Tamil e i molti Singalesi e islamici che sono venuti nella zona di Jaffna e dintorni.

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