Violenze a Papua: attivisti islamo-cristiani contro l'inerzia di Jakarta
Jakarta (AsiaNews) - Dopo giorni di silenzio, decine di leader religiosi cattolici e protestanti di Papua, insieme a colleghi musulmani, hanno denunciato l'inerzia del governo centrale a Jakarta, incapace sinora di fermare l'ondata di violenze nella provincia. Solo nelle ultime due settimane, scontri e agguati hanno causato almeno otto vittime, ma il bilancio è ancora provvisorio. Conosciuta come "Nuova Guinea Olandese" ai tempi del colonialismo, la Papua indonesiana è una regione ricca di risorse e materie prime, ma è ancora sottosviluppata e povera rispetto al resto dell'arcipelago. Nell'area è in atto una forte contrapposizione - che sfocia in episodi di violenza - fra le autorità legate al governo centrale, contrapposte a movimenti che rivendicano una sempre maggiore autonomia amministrativa e territoriale.
Gli attivisti islamo-cristiani si sono riuniti negli uffici della diocesi di Jayapura il 10 giugno scorso e, al termine dell'incontro, hanno deciso di prendere una posizione ferma contro gli autori - finora impuniti - delle violenze. Al vertice a porte chiuse ha partecipato anche il locale vescovo, mons. Leo Laba Ladjar, anch'egli "preoccupato" per l'escalation di incidenti mortali. I leader del comitato interreligioso hanno inoltre incoraggiato la promozione di una cultura dell'amore e del rispetto, fra i diversi gruppi etnici che caratterizzano la provincia di Papua.
All'incontro erano presenti anche il pastore Albert Yoku, capo del Sinodo delle chiese indonesiane, il reverendo Lipiyus Binilux, il reverendo Herman Saud e diversi leader musulmani, fra cui Dudung Abdul Koha, della sezione di Jayapura del Consiglio degli ulema indonesiano (Mui). Basimo, un capo musulmano locale, sottolinea ad AsiaNews la necessità di far "sbocciare la cultura dell'amore e della tolleranza" ma avverte anche che "è meglio non girare la notte e, se non strettamente necessario, non lasciare le proprie case" sino a che la situazione non migliorerà.
Intanto il capo dell'intelligence indonesiana, generale Norman Marciano, punta il dito contro i "gruppi separatisti", a suo dire responsabili dell'ondata di violenze a Papua delle ultime settimane. Tra questi vi sarebbe anche il movimento armato Papua libera per l'indipendenza (Opm). Tuttavia, il capo del gruppo Lambert Pekikir respinge al mittente le accuse, dichiarando di non sapere nulla in merito a "presunte sparatorie". La tensione rischia di innalzarsi nelle prossime settimane, in vista dell'anniversario del primo luglio, giorno in cui l'Opm celebra la propria formazione.
Nel 2001 le autorità di Jakarta hanno concesso ai locali per legge una "autonomia speciale" per la provincia; tuttavia, una sua applicazione pratica non si è mai concretizzata e le popolazioni indigene continuano a denunciare "trattamenti ingiusti". La zona è stata teatro di una violenta campagna militare ai tempi di Sukarno, che ha determinato l'annessione nel 1969 sfruttando una direttiva temporanea delle Nazioni Unite. Il pugno di ferro usato dal regime di Suharto fra il 1967 e il 1998 e la massiccia invasione di multinazionali straniere e compagnie indonesiane hanno favorito la nascita di un movimento separatista. L'attuale denominazione di Papua è stata sancita nel 2002 dall'ex presidente Abdurrahman Wahid