Vinte le elezioni, i radicali islamici kuwaitiani chiedono un nuovo governo
Sono islamisti sia i gruppi sunniti della maggioranza, sia quelli che esprime la minoranza sciita; timori di nuove tensioni tra le due comunità. A perdere sono i moderati, ora in netta minoranza. Anche questa volta, nessuna donna è stata eletta.
Kuwait City (AsiaNews/Agenzie) – Vinte le elezioni, gli islamici radicali vogliono un nuovo primo ministro che “vada d’accordo con il Parlamento” e formi un governo “con la maggioranza”, per “combattere vigorosamente la corruzione e riformare l’amministrazione”. La richiesta è stata avanzata da Waleed Al-Tabtabae, esponente del gruppo islamico sunnita che con 21 deputati è quello ad aver guadagnato di più in una Camera di 50 seggi, che ha poteri legislativi e può estromettere un singolo ministro, ma non governa e non può sfiduciare l’esecutivo, cosa che rientra nei diritti dell’emiro. Che l’ha fatto due volte negli ultimi due anni, a causa dei contrasti tra governo e parlamento.
Ad aumentare il peso dei radicali, con i sunniti ci sono i 10 eletti nell’“Alleanza islamica salafita”.
Dalle elezioni di domenica 18 si sperava uscisse una maggioranza che potesse dare stabilità al Paese, ma è difficile al momento dire se tale aspettativa si è realizzata. Oltre al gruppo radicale sunnita, infatti, il nuovo parlamento ha visto crescere da uno a cinque gli esponenti della minoranza sciita (che rappresenta circa un terzo della popolazione) e sono tutti islamisti. Due di loro sono stati anche al centro di polemiche per essere andati a prendere parte, in marzo, ai funerali di Imad Mughnieh, l’assassinato capo militare di Hezbollah, definito, in Occidente, un terrorista, e responsabile, tra l’altro, del dirottamento di un aereo kuwaitiano, nel 1980.
Gli sconfitti sono il nazionalista Blocco di azione popolare, che ha avuto quattro eletti, e del moderato Movimento islamico costituzionale, che insieme ai suoi alleati ha solo sette seggi. Ciò, insieme alla mancata elezione di una qualsiasi delle 27 donne candidate – che continuano a non essere presenti in parlamento – da un lato conferma il conservatorismo della popolazione – a decidere sono le indicazioni dei capi tribali e degli uomini - e dall’altro fa temere tensioni tra sunniti e sciiti.
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