19/03/2025, 11.44
YEMEN
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Vicario d’Arabia: 'In Yemen armi più forti della diplomazia. E la gente soffre'

di Dario Salvi

Mons. Martinelli parla di escalation “improvvisa” dopo la decisione di Trump di dichiarare gli Houthi gruppo terrorista. I rischi di un “conflitto aperto” con drammatiche “conseguenze” sui civili. L’estrema povertà e la difficoltà di promuovere progetti umanitari. L’opera delle suore di Madre Teresa “punto di riferimento” per i cristiani rimasti.

Milano (AsiaNews) - L’attacco americano agli Houthi in Yemen è giunto “per certi aspetti all’improvviso” pur se “significativamente prossimo all’aumento della fragilità della tregua fra Israele e Hamas” che poi, nella notte fra il 17 e il 18 marzo, è crollata con l’escalation militare impressa dallo Stato ebraico. É quanto sottolinea ad AsiaNews mons. Paolo Martinelli, vicario apostolico dell’Arabia meridionale (Emirati Arabi Uniti, Oman e Yemen), commentando le nuove tensioni nel Golfo legate anche alle decisioni dell’amministrazione Usa di Donald Trump. 

“Da quando il nuovo presidente degli Stati Uniti ha dichiarato gli Houthi ‘terroristi’, abbiamo iniziato a riflettere attentamente sulle possibili conseguenze di queste affermazioni nello Yemen del Nord” riflette il prelato. “Stavamo aspettando di capire - aggiunge - le implicazioni concrete” laddove le armi sembrano prevalere sulla diplomazia, perché “la tregua tra Israele e Hamas aveva favorito una certa distensione ed un cauto ottimismo” fermando gli attacchi, ma ora il quadro è cambiato.

Analizzando gli attacchi degli Stati Uniti e la risposta Huothi diretta alle navi commerciali nel mar Rosso in sostegno ad Hamas a Gaza, mons. Martinelli avverte che se diventasse “un conflitto aperto e di vasta scala sarebbe motivo di profondo dolore per le possibili conseguenze sui civili”. “Il popolo - prosegue - è stato provato da ormai dieci anni di guerra civile. Possiamo solo vagamente immaginarci le sofferenze della popolazione nel caso di una guerra aperta”. Per questo, avverte, la priorità deve essere quella di “risparmiare” vittime innocenti.

In tema di povertà, nei giorni scorsi è tornata alla ribalta la condizione delle fasce più deboli della popolazioni, in particolare i minori (anche bambini di 10 o 11 anni) costretti a fare gli autisti per guadagnare piccole somme di denaro con le quali aiutare le famiglie. “Abbiamo poche informazioni dirette, ma certamente la difficoltà è grande” sottolinea il vicario dell’Arabia meridionale. “A causa di questa insicurezza generale - aggiunge - è molto difficile fare progetti di aiuto umanitario che possano effettivamente cambiare la situazione e permettere finalmente un nuovo inizio. È un motivo di grande sofferenza pensare che in un Paese così bello, il popolo si trovi in questa condizione di indigenza” e a pagarne le conseguenze “sono soprattutto i deboli e i bambini”.

Il conflitto in Yemen è divampato nel 2014 come scontro interno e si è inasprito trasformandosi in guerra aperta con l’intervento, nel marzo 2015, di Riyadh a capo di una coalizione di nazioni arabe opposta alle milizie ribelli Houthi sostenute dall’Iran. Secondo le Nazioni Unite, la guerra ha provocato oltre 400mila vittime e innescato la “peggiore crisi umanitaria al mondo”, sulla quale il Covid-19 ha poi sortito effetti “devastanti”; milioni di persone sull’orlo della fame e i bambini - 10mila morti nel conflitto - subiranno le conseguenze per decenni. Gli sfollati interni sono oltre tre milioni, la maggior parte vive in condizioni di estrema miseria, fame ed epidemie di varia natura, non ultima quella di colera. 

Fra gli elementi positivi sottolineati da mons. Martinelli il fatto che, al momento, pare reggere la tregua interna fra governativi (sostenuti dall’Arabia Saudita) e Houthi (filo-iraniani) che ha alimentato per anni il conflitto. “Le notizie che abbiamo - racconta - è che le relazioni fra le due parti al momento sono tranquille, il che non vuol dire che i problemi siano risolti” anche se “certamente è cosa buona che il confitto interno sia cessato”. “La situazione del sud - aggiunge il vicario d’Arabia - appare migliore” ed è “un segno importante che, di recente, la Santa Sede abbia nominato il Nunzio apostolico: questo è un segno di speranza”.

In visita pastorale nei giorni scorsi in Oman il prelato è rientrato nella sede del Vicariato negli Emirati Arabi Uniti (Eau), un osservatorio privilegiato dal quale guardare alle molte aree di crisi in atto in Medio oriente. “Si guarda con preoccupazione - conferma - a quanto sta avvenendo nello Yemen in questi giorni” occupando le cronache dei media negli Emirati e nell’Oman, il cui popolo è descritto come “mite”. “Le autorità - prosegue - sostengono l’importanza di diffondere valori quali accoglienza, tolleranza, coesistenza sociale tra la popolazione” perché senza di essi “è inevitabile che vi siano conflitti a vari livelli”. “Da parte mia - aggiunge mons. Martinelli - ricordo alla gente e alle autorità che incontro, il messaggio costante di papa Francesco sull’assurdità della guerra e sulla necessità di promuovere percorsi di riconciliazione, mediante una efficace azione diplomatica e la diffusione di una cultura della pace”.

Infine, mons. Martinelli racconta la condizione della comunità cristiana in Yemen partendo dalle suore di Madre Teresa di Calcutta “presenti nel nord del Paese”, con le quali è in contatto “quasi quotidiano, soprattutto in questi giorni”. A poco più di nove anni dal sanguinoso assalto di gruppi jihadisti nel compound di Aden e la morte di quattro suore, spiega il prelato, hanno deciso di restare nel Paese e tuttora svolgono “un enorme lavoro di cura con malati e anziani, nonostante le grandi difficoltà che devono affrontare”. “Di fatto - prosegue - costituiscono un punto di riferimento per i fedeli rimasti” e se “molti cristiani hanno lasciato lo Yemen in questi anni” altri ancora “sono comunque rimasti e cerchiamo di essere in contatto con loro in modo discreto”. “Nel sud è operante un ufficio della Caritas grazie al supporto di Caritas Poland e Cordais. Le nostre quattro chiese, tra cui la cattedrale di Aden, sono tutte inagibili poiché gravemente danneggiate a causa della guerra civile. Con la ripresa dei rapporti diplomatici della Santa Sede, spero presto di poter visitare almeno Aden. Quando ci saranno le condizioni - conclude - vorremmo assicurare subito ai nostri fedeli cattolici l’assistenza spirituale e pastorale necessaria e preghiamo perché possa avvenire presto”. 

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