Viaggio nei campi profughi dello Sri Lanka, dove si lotta per sopravvivere
di CS Prasanna
Il racconto di un volontario indiano, impegnato da agosto a settembre tra le Internally displaced persons (IDPs) del distretto di Vanni. Le drammatiche condizioni di vita nei campi e negli ospedali. Le sofferenze di donne, bambini, anziani e disabili. Il desiderio dei profughi di tornare presto a casa.
Chennai (AsiaNews) - Ho aiutato le Internally displaced persons (IDPs) del distretto di Vanni, visitando gli ospedali di Mannar, Vavuniya e Cheddikulam ed i Welfare Center di Komarasankulam e Cheddikulam.
Presto i monsoni si abbatteranno su questa gente. C’è da sperare che verrà fatto qualcosa per aiutarli. Alcune famiglie che hanno parenti pronti ad accoglierli sono state rilasciate. Molte altre stanno aspettando di tornare alle loro case ed essere reinsediate. È questa la loro supplica e la loro speranza. Anziani, madri e bambini lasciano i campi senza documenti e questo crea grossi problemi una volta che tornano nei luoghi di origine. Chi ha dei parenti tra i profughi va dai funzionari del governo e cerca di fare il possibile. I disabili, le persone disturbate mentalmente e psicologicamente che non hanno familiari, restano a soffrire nei campi. Sarebbe meglio se venisse fatto qualcosa apposta per loro.
A Komarasankulam, le persone possono contare su alcuni servizi, come una grande scuola in cui vivono 600 famiglie, circa 2mila persone. Di recente gli IDPs della Zona 4 sono stati trasferiti in questo Welfare center. C’è scarsità di acqua. I rifugiati fanno a turno per cucinarsi il cibo. I parenti hanno il permesso di visitare gli IDPs senza essere separati dal filo spinato come invece capita negli altri campi. Anch’io ho ottenuto il permesso per incontrare i rifugiati nella zona destinata alle visite e lì ho anche assistito alla messa. In questo modo ho potuto dare il mio aiuto portando libri di testo per la scuola, vestiti, occhiali ed articoli religiosi. Ho anche aiutato le donne incinta quando ne avevano bisogno. Ho dato dei soldi a chi è da solo ed alle vedove. È comunque un piccolo aiuto e ho dovuto sottomettermi ai regolamenti che cambiano ogni volta che un nuovo gruppo di funzionari arriva nel campo. Nell’ultima settimana mi è stato detto che per andare alla messa dovevo ottenere il permesso.
All’ospedale di Vavuniya ho incontrato molte persone che arrivavano dai campi di Cheddikulam e della stessa Vavuniya. Nelle corsie mi sono imbattuto in persone ricoverate per incidenti, alcune con infezioni agli occhi o patologie alle vie respiratorie, altre affette da problemi psichiatrici. Anche lì ho distribuito cibo, latte in polvere, vestiti, medicine e quel che mi veniva chiesto dai ricoverati. È semplice aiutare la gente negli ospedali. Molte donne arrivano con i loro neonati e bambini. Molto spesso vengono ammessi nelle cliniche, in alcuni casi hanno bisogno di aiuto. Medici senza frontiere (Msf) ha un ufficio nell’ospedale dove possiamo distribuire vestiti in caso di emergenza. I volontari di Msf offrono un servizio di prima assistenza e spesso vengono quando i pazienti chiedono soldi o qualche altro genere di aiuto spicciolo.
Spesso i regolamenti non permettono di accettare bambini, neonati e casi gravi. Per questo i pazienti soffrono molto. Madasamy è un paziente con entrambe le gambe ed una mano amputata e non ha nessuno che lo aiuti. La sua famiglia è nel campo di Cheddikulam e da più di un mese non ha la possibilità visitarlo.
Le persone sono afflitte per le condizioni in cui sono costrette a vivere, negli ospedali come nei campi. I campi che sono assistiti dalla Caritas Udec di Jaffna e dalla Caritas Valvuthayam di Mannar hanno approvvigionamenti quotidiani che gli IDPs possono cucinare. In altri centri i rifugiati ricevono riso, dhal, farina, olio e talvolta anche verdura. Per prodotti come medicine, vestiti, materiale di cartoleria o cibo per i bambini, gli IDPs dipendono da parenti o persone di buona volontà. Alcuni sono a posto perché hanno parenti che li aiutano mandando denaro e altre cose. Altri ricevano soldi da familiari e figli che risiedono all’estero. Ma c’è un gran numero di persone che non può contare su nessuno. Spesso le madri arrivano sino all’ospedale con i loro bambini senza aver ricevuto il minimo aiuto. Da ottobre la gestioni dei campi profughi passa sotto il controllo completo del governo e le attività delle ong verranno limitate.
Il numero di epatiti, polmoniti, influenze e altre malattie comuni sta crescendo nei campi. Monlto spesso i neonati arrivano in ospedale con ascessi e molti giovani soffrono di appendicite. Adulti e bambini soffrono per la febbre per periodi molto lunghi e spesso hanno ricadute per la mancanza di cibo che li rende deboli. La malnutrizione, l’acqua non potabile e le cure insufficienti sono i motivi per cui la gente si ammala di frequente. Per gli IDPs la vita è molto dura. Dipendono in tutto dagli altri, da ong e gente di buona volontà. È una condizione umiliante e degradante. Molti che un tempo erano benestanti e avevano tutto adesso sono costretti a mendicare . Quelli che soffrono di più sono i disabili, chi ha perso tutti i parenti e gli anziani. Queste persone stanno sopravvivendo solo grazie all’aiuto delle ong, delle organizzazioni della Chiesa e di altre persone caritatevoli.
Ho visitato di recente il campo di Ramanathar. Non ci sono parole per descrivere le difficoltà che i rifugiati devono attraversare per guadagnarsi l’acqua. Essi legano una serie di bottiglie da litro su una corda che si estende per oltre un miglio. Quando il rubinetto dell’acqua viene aperto ogni persona può prenderne venti litri. Ma alle 11 l’erogazione viene sospesa e solo 10 persone hanno conquistato l’acqua. Una donna anziana mi dice che ha un turno ogni tre giorni per ottenere i suoi 20 litri: sei litri al giorno che gli IDPs devono usare per cucinare e bere. Altri 40 litri vengono assegnati ad ogni nucleo familiare, ogni tre giorni, per assicurare loro la possibilità di lavarsi. Ogni tenda è divisa in due per ospitare altrettante famiglie: in tutto ci vivono 10 persone.
Ci sono molti orfani nelle varie abitazioni e nei campi. Ma tra essi alcuni hanno più di 18 anni e vivono da soli. Si trovano in una situazione davvero triste, con nessuno che li assiste. A soffrire sono soprattutto le ragazze giovani che non possono andare a chiedere ad altri un aiuto per i loro bisogni personali. Devono essere portate fuori dai campi e accudite in posti più sicuri. Quando esse arrivano all’ospedale le aiutiamo noi.
Ogni giorno le famiglie in cui la madre è incinta, o ha figli piccoli, o è anziana vengono trasferite in posti più comodi a Vavuniya, ma senza documenti per potersi poi spostare altrove. All’inizio di ottobre 247 persone di queste tipo di famiglie, destinate a Jaffna, sono state spostate dai campi profughi a Sivan Kovil presso Vavuniya. Il 7 gli operatori di Msf li hanno portati a Eratperiyaulam da dove sono state portate in pullman a Jaffna. La sera dello stesso giorno sono state riportate indietro a Sivan Kovil. Si può immaginare la sofferenza e la depressione di queste donne incinta. Cinque bambini sono nati in questo frangente, tre nei pullman.
Alcune famiglie sono trasferite da un campo all’altro. L’aspirazione di queste persone è di essere rilasciate e di tornare ad essere libere. Spero che il loro grido possa essere sentito così che possano vivere con dignità ovunque saranno. Se verranno rilasciate, potranno trovare la strada per camminare con le loro gambe. Tutto ciò che vogliono è poter respirare la libertà. Ciò che stupisce è la fede che hanno in Dio anche in queste condizioni, nonostante si sentano affrante e nauseate.
Vedi anche