Vescovo di Mosul: "Ho pregato, ero pronto al peggio"
Mosul (AsiaNews) "Affidato a Dio" nella preghiera, pronto "all'eventualità che fosse la fine". Sono stati questi i sentimenti con cui mons. Basile Georges Casmoussa, vescovo siro-cattolico di Mosul, ha vissuto le ore in mano ai suoi rapitori. Una volta liberato il vescovo ha ricevuto la solidarietà di amici musulmani. Egli ha definito il suo rapimento "non un atto contro i cristiani" ma "contro gli americani".
Ecco l'intervista rilasciata da mons. Casmoussa ad AsiaNews.
Come è avvenuto il suo rapimento?
Ero presso una famiglia di un quartiere della città. Uscendo, alle 17.10, una macchina mi ha sbarrato la strada e uomini armati mi hanno fatto salire a bordo. Ho passato la notte dove mi hanno portato, poi alla mattina abbiamo parlato e mi hanno riferito che il Vaticano e varie agenzie avevano parlato del mio rapimento. Allora ho capito che il mio sequestro era stato una coincidenza: quando hanno capito chi ero, la situazione è cambiata e mi hanno liberato alle 12.30. Allora ho preso un taxi e sono tornato a casa. I rapitori si sono comportati con me in modo corretto.
Ha avuto paura o fiducia in queste ore?
In situazioni del genere ci si aspetta il peggio. Ero tranquillo, ho preso in considerazione l'eventualità che fosse la fine. Ed è andata bene, grazie a Dio. Ho pregato tutto il tempo. Mi sono abbandonato totalmente nelle mani di Dio e della Provvidenza. Questa mattina ho pregato anche per quelli che, lo sentivo bene, pregavano per me in tutto il mondo.
Come i musulmani di Mosul hanno accolto la notizia del vostro rapimento e liberazione?
Ci sono stati amici musulmani che mi hanno telefonato per darmi il bentornato a casa. Ho varie conoscenze e amici fra i notabili musulmani della città.
Come si spiega il suo rapimento?
Non penso sia stato per andare contro i cristiani. É uno di quegli atti compiuti per spingere gli americani a lasciare il paese. Non c'è identità fra cristiani e occupanti.
Alcune voci affermano che questi atti non avvenivano durante il periodo di Saddam Hussein, quando i cristiani erano "liberi e rispettati"
Non si possono fare paragoni di questo genere. Durante Saddam c'era "sicurezza" ma anche molte altre ingiustizie. Quello che vogliamo oggi è la sicurezza, poter rientrare a casa incolumi e sicuri.
Le elezioni di fine gennaio possono diventare un'occasione di rinascita per l'Iraq?
Ci auguriamo di sì, ma con la partecipazione di un grande numero di cittadini e in un clima di sicurezza, che in alcune regioni attualmente non c'è.
Cosa può fare la comunità internazionale, e in particolare l'Europa, per il bene degli iracheni?
Fare pressioni sugli Usa perché abbiano una politica molto più favorevole verso l'avvenire dell'Iraq e degli iracheni, stabilendo un programma preciso per il loro ritiro. (LF)