Vescovo di Fukuoka: In Giappone vive una Chiesa matura e missionaria
Tokyo (AsiaNews) - Dal punto di vista dell’evangelizzazione cristiana il Giappone è una nazione paradossale. In queso paese dove il diritto della libertà di religione è scrupolosamente rispettato, il cristianesimo è in situazione assai minoritaria, nonostante l’intensa attività evangelizzatrice dei missionari che dura da oltre un secolo.
C’è un paradosso nel cattolicesimo giapponese, evidenziato dalle statistiche di tre diocesi. Nell’arcidiocesi di Tokyo (capitale e prefettura di Chiba), su una popolazione di 18 milioni, i cattolici sono circa 95mila, pari allo 0,5%; in quella di Fukuoka (quattro prefetture dell’isola del Kyushu) i cattolici sono 32mila su una popolazione di 7. 758.000 abitanti, lo 0,4%; nell’arcidiocesi di Nagasaki su una popolazione di 1.494.000 abitanti i cattolici sono 66mila, il 4,3%. In tutto il territorio nazionale con 127 milioni di giapponesi i cattolici sono circa 450mila, pari allo 0,35%, sparsi in 16 diocesi.
Per restare ai numeri, in Corea del sud con una popolazione di 44 milioni di abitanti i cattolici superano i 5 milioni; oltre il 10% della popolazione, e se teniamo presente il numero dei cristiani di tutte le denominazioni si deve concludere che oltre il 20% dei sud-coreani sono cristiani. La logica dei numeri spingerebbe a concludere che il Giappone sia refrattario al cristianesimo.
La personalità del vescovo di Fukuoka
A capire, in qualche modo, il paradosso cristiano del Giappone, ci aiuta mons. Domenico Miyahara (56 anni), vescovo di Fukuoka. La stessa personalità del vescovo e il luogo dove si svolge l’intervista costituiscono l’ambiente storico e psicologico più adatto per illustrare e, possibilmene, capire il significato della “seconda evangelizzazione cristiana “ in Giappone.
Il vescovo Miyahara è nato nel 1955 in una famiglia cattolica nella regione di Nagasaki, la città dei martiri. Ordinato sacerdote nel 1982, ha trascorso un periodo di perfezionamento degli studi a Roma, per poi dedicarsi all’ insegnamento in un seminario cattolico. Nel 2000 a soli 45 anni è stato consacrato vescovo della diocesi di Oita (nell’isola del Kyushu) che conta 6mila cattolici. Tre anni fa gli è stata affidata la diocesi assai più consistente di Fukuoka: oltre 30mila cattolici.
Non è difficile intuire il dissidio interiore sofferto dal vescovo Miyara per queste nomine ascendenti. L’importanza delle sedi delle diocesi non corrisponde all’importanza civile delle città: Fukuoka con una popolazione che supera il milione e mezzo di abitanti, è la capitale dell’isola del Kyushu; in confronto Nagasaki, che si trova nella medesima isola, è città secondaria, con meno di mezzo milione di abitanti. Ma dal punto di vista ecclesiale i rapporti si rovesciano: a Nagasaki i cattolici superano il 4% della popolazione, mentre a Fukuoka sono solo lo 0,4%. E la differenza delle percentuali non è la ragione principale della differenza di importanza delle due sedi: a Nagasaki l’atmosfera cattolica si nota dovunque, mentre a Fukuoka predomina quella “pagana” di tutte le grandi città giapponesi. Nessuna meraviglia, quindi , se il titolo di arcidiocesi è stato dato a Nagasaki.
Due volti della Chiesa cattolica in Giappone
Ed è su questa differenza di atmosfera che inizia il colloquio, dalla richiesta se l’atteggiamento fondamentalmente sereno e ottimista della popolazione di Nagasaki non sia dovuto all’influenza del cattolicesimo. Poichè la domanda così posta poteva implicare un giudizio morale, il vescovo Miyahara non vi ha risposto direttamente riformulando la questione a livello di fatti.
Le differenze che non si possono negare nè sottovalutare, spiega, trovano la loro spiegazione nella storia dell’evangelizzazione cattolica in questo Paese. Il cristianesimo è stato portato in Giappone per la prima volta dal missionario gesuita Francesco Saverio nel 1549. I risultati di quella prima evangelizzazione sono stati impressionanti: in pochi decenni la Chiesa cattolica contava oltre 400mila fedeli. Ma nella prima metà del secolo XVII si è scatenata un persecuzione crudele e capillare che, seguita dalla politica della “porta chiusa,” non solo ha arrestato l’evangelizzazione ma ha annientato il cristianesimo in questo Paese.
Nella seconda metà del secolo XIX il Giappone, per ragioni di politica internazionale, ha riaperto le porte della nazione e, pur non abolendo l’editto di proscrizione del cristianesimo, ha permesso l’entrata di sacerdoti per il servizio religioso ai membri delle ambasciate straniere.
Inizia così la seconda evangelizzazione del Giappone, grazie allo zelo e all’intelligenza dei missionari delle Missioni estere di Parigi. Ed è fin d’allora che si forma un cattolicesimo giapponese a due volti: quello di Yokohama e quello di Nagasaki. Il missionario padre Petitjean, ufficialmente a servizio dell’ambasciata francese a Yokohama (città portuale non lontana da Tokyio), sapendo che Nagasaki, nel sud, era stata la culla del primo critianesimo in Giappone e la città dei martiri, vi si è recato costruendo poi una chiesetta su una collina prospiciente il porto. In questo modo è avvenuta la scoperta dei “cristiani nascosti” dopo due secoli di persecuzione: fatto inedito nella storia del cristianesimo .
La scoperta dei “cristiani nacosti” ha dato origine a due modi diversi di evangelizzare: apostolato di “consolazione” e “esortazione” nella zona di Nagasaki; apostolato di prima evangelizzazione in tutte le altre parti.
In un salmo della bibbia si legge: “C’è chi semina nel pianto e chi raccoglie nella gioia”. Applicando il detto profetico alle zone del Giappone ora indicate si dovrebbe dire che la Chiesa di Nagasaki sta raccogliendo nella gioia, mentre nelle altre l’evangelizzazione procede ancora nel sudore e nel pianto. Con qualche precisazione: la sofferenza a Nagasaki è durata fino al 1945 e ha avuto un momeno di tragica recrudescenza il 9 agosto di quell’anno con l’inumano bombardamento della seconda atomica che ha distrutto la città e decimato la comunità cattolica più fervente e numerosa di tutto il Giappone.
Ma ora le sue belle chiese con a capo la cattedrale di Urakami ricostruita a 500 metri dall’epicentro atomico e le ferventi comunità riflettono l’atmosfera di chi sta raccogliendo nella gioia.
Verso una chiesa missionaria aperta all’Asia.
Si ha l’impressione che la chiesa di Nagasaki sia in certo qual modo gelosa della sua letizia e fervore e tema di perderli offrendosi per l’evangelizzazione nelle altre regione del Giappone e dell’Asia.
Il vescovo Miyahara dice che impressioni di questo tipo dipendono da una lettura della realtà al di fuori del contesto storico. Prima di venire a Fukuoka egli è stato vescovo della diocesi di Oita che ha in tutto solo 6mila fedeli. In Europa questa è una cifra da parrocchia. Inoltre questo piccolo gregge vive in mezzo a una popolazione non cristiana di 2.300.000 persone. Si hanno, quindi, limiti di risorse, personale e formazione. Occorre tempo. E questo, sostanzialmente, vale anche per Nagasaki.
Inoltre il concetto di missione, in Asia, attualmente viene vissuto come evangelizzazione delle culture in mezzo alla quale si vive. Oggi il Giappone è sempre più cosciente di dovere assumere un ruolo di servizio e dialogo nel contesto dell’Asia orientale. La Chiesa cattolica qui lo sta svolgendo favorendo il dialogo con le “Chiese sorelle”delle nazioni vicine.
A livello di conferenze episcopali tra il Giappone e la Corea del sud sono già istituzionalizzati incontri annuali. Ma si è coscienti che i dialoghi culturali nel contesto della fede si devono promuovere anche a livello di base. Per questo il vescovo di Fukuoka sta organizzando scambi di seminaristi e studenti con le diocesi della Corea.
Tuttavia, osserva il vescovo, per realizzare questa comunione culturale a livello di Chiese sorelle, occorre uno strumento adatto, che, secondo Miyahara, sarebbe un’università cattolica. In questo settore, in Giappone svolge un ruolo eccellente l’università Sophia diretta dai Gesuiti. Essa, però, a si trova a Tokyo. Il problema si risolverebbe creando delle succursali nelle varie diocesi. Il vescovo ha in programma di stabilire un campus della Sophia a Fukuoka dove si terrebbero i primi due anni di studio.
Il ruolo dei missionari stranieri a Fukuoka
È risaputo che il flusso dei missionari stranieri provenienti dalle chiese dell’Europa e dell’America si è interrotto. Alla domanda se essi sono ancora utili, il vescovo risponde con un invito a riflettere su quanto accade nella parrocchia di Taku, da decenni curata da un anziano missionario del PIME: padre Claudio Gazzardi. Avendo questi raggiunto gli 85 anni, avrebbe diritto al riposo, ma se lascia la parrocchia non c’è chi lo possa sostituire. Il vescovo ne parla con ammirazione. E non è un caso unico, sottolinea. Ma probabilmente la mancanza di missionari europei può essere provvidenziale, perchè spinge a rivolgersi alla Chiese cattoliche dell’Asia, ricche di clero. Myahara pensa soprattutto a missionari vietnamiti, anche più adatti a dialogare con la cultura giapponese.
La chiesa del Giappone è diventata matura. Questa è la convinzione che emerge dal colloquio con il vescovo Miyahara. Il suo programma pastorale di quest’anno lo conferma. Dopo aver impiegato i primi due anni all’impegno di conoscere la sua nuova Chiesa, ora presenta un programma riassunto con l’espressione “il mistero di Cristo”, che invita i fedeli a farne l’esperienza nella celebrazione liturgica, a viverlo nella famiglia e nella società e a trasmetterlo con l’evagelizzazione. Ma per ottenere questo la prima condizione è di conoscerlo. Manabi “imparare” è la parola d’ordine del programma pastorale di quest’anno.
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