Vescovo caldeo: Cristiani divisi, ma il candidato preferito è Allawi
Intervista a Mons. Rabban Al Qas, vescovo di Amadiyah e Erbil (Iraq settentrionale).
Amadiyah (AsiaNews) Alla vigilia delle elezioni politiche cristiani e musulmani si trovano ad un bivio: superare i propri interessi di gruppo per sostenere la ricostruzione del paese e la convivenza senza la paura dell'altro. È quanto afferma ad AsiaNews il vescovo caldeo di Amadiyah e di Erbil, mons. Rabban Al Qas. Il prelato critica "il narcisismo politico" dei cristiani che si rinchiudono in alcuni partiti confessionali e quello dei musulmani che preferiscono sostenere l'unità islamica contro gli interessi nazionali. Secondo il vescovo il candidato che dà più speranza al futuro del paese è Iyad Allawi. In ogni caso, le elezioni sono un'occasione per ripensare alla missione dei cristiani in Iraq. Ecco il testo dell'intervista:
Mons. Rabban, alla vigilia delle elezioni, un'inchiesta della Bbc dice che almeno il 70% degli irakeni sono contenti della loro situazione. A 1000 giorni dalla guerra contro Saddam Hussein e a dispetto delle violenze e del terrorismo che ancora segnano l'Iraq, oltre il 60% della popolazione ha speranza nel futuro del paese Lei condivide questo ottimismo?
La gente è entusiasta soprattutto per le elezioni. Anche se ci sono divisioni fra piccoli gruppi e partiti, la maggioranza è più o meno raccolta attorno a un grande partito, la Lista Nazionale Irakena. Sia che vivano nel Kurdistan, nel sud sciita o fra i sunniti, la persona che tutti vogliono che governi è Iyad Allawi, insieme ai curdi.
Purtroppo i cristiani sono rinchiusi in alcuni gruppuscoli che non hanno futuro. L'ho sempre detto a tutti: il futuro dei cristiani in Iraq non è nel rinchiudersi e nel difendere alcuni piccoli privilegi del passato. L'avvenire del paese è nel lavoro con gli altri. Anche la riforma della costituzione, per la difesa dei diritti di libertà religiosa dei cristiani, passa attraverso la collaborazione con le altre comunità.
I cristiani sono preoccupati di una deriva islamica fondamentalista, che possa ridurre la loro libertà..
In un Iraq variegato, le parole che i cristiani devono difendere non sono quelle della religione come identità e un mondo chiuso, ma quelle della pace, dell'amore, della giustizia, del rispetto per l'altro. La nostra fede si deve esprimere in un servizio e un'accoglienza all'altro.
L'avvenire dei cristiani non verrà dal fanatismo corporativo, portato avanti da gruppi politici come gli assiro-cristiani, ma dalla vita insieme a tutti gli irakeni. Da questo punto di vista le persone del Kurdistan sono preparate da almeno 14 anni di autonomia a vivere insieme, cristiani e musulmani, a guardare all'universalità, e non ai piccoli interessi di gruppo.
La Chiesa poi non deve entrare con un suo partito per difendere i propri interessi. Dobbiamo approfittare dell'esperienza della chiesa in Europa: non si mescola direttamente nella politica, ma è una fonte di messaggi, di scelte, di valori, di impegni che indirizza anche la politica.
La Chiesa caldea ha dato delle indicazioni per aiutare i fedeli all'elezione?
Non vi è una posizione comune. Anzi c'è grande dispersione: fra i cristiani vi sono almeno 4 liste che temo non avranno alcun peso politico. A prima vista sembra che questi gruppi difendano la religione, ma in realtà non se ne preoccupano perché non si preoccupano del paese. Questi gruppi tentano di votare per un loro rappresentante: un cristiano per un cristiano, i caldei per un caldeo, un assiro per un assiro, ma in questo modo si attua solo un narcisismo politico che non crea futuro. Un Iraq chiuso ognuno dentro la sua comunità non potrà mai risorgere. L'ho sempre detto: guardiamo all'Iraq, guardiamo al paese e al suo avvenire. Anche per la Chiesa il problema primario non è adesso la lingua caldea da preservare, o i riti, ma aiutare il paese a risorgere dai massacri, dalla violenza di questi anni, dall'amarezza, aiutando la gente a rifiutare il fondamentalismo.
Si dice che i giovani non abbiano speranza nei partiti politici Non andranno a votare?
No, al contrario. Naturalmente io parlo anzitutto per il Kurdistan, ma vedo cose simili anche in altre parti dell'Iraq. L'altro giorno ho assistito a una conferenza ad Hankawa. Eravamo in un grande centro culturale ed erano presenti 1500 giovani universitari, cristiani e musulmani sunniti. Il responsabile del centro è un musulmano, ma mi ha invitato per parlare dell'accoglienza dell'altro e della ricchezza nella diversità. A questi musulmani ho detto: io, cristiano, sono vostro fratello più di uno dell'Arabia Saudita. Dovete vincere l'integrismo religioso fondamentalista: io, che ho sofferto con voi per decenni sotto Saddam Hussein, sono più vicino, più amico alla vostra vita di qualunque altro musulmano straniero. È tempo di correggere l'appartenenza astratta a una comunità che rischia di distruggere invece che costruire. L'Iraq potrà crescere solo con la convivenza interetnica, eliminando il fondamentalismo.
14/12/2005