Vescovo caldeo di Kirkuk: A Mosul si cancellano i cristiani per motivi politici
Kirkuk (AsiaNews) – Dall’inizio di ottobre a Mosul si registra una ennesima ondata di violenze contro cristiani. La città e la comunità dei fedeli ha già pagato un grande contributo di sangue in passato, con la morte di mons. mons. Paulo Farj Rahho, quella di p. Ragheed Gani, e di decine di altri. Mosul, città multietnica, vede la presenza di cristiani delle diverse confessioni, sunniti e sciiti, yaziti, arabi, turcomanni e curdi. Queste uccisioni di tipo confessionale rendono sempre più difficile la convivenza e aumentano le accuse fra il governo curdo, responsabile dell’ordine a Mosul, e il governo centrale. Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha voluto condividere coi lettori di AsiaNews le sue preoccupazioni riguardo agli avvenimenti.
Cosa sta succedendo a Mosul ? Come si può definire questa carneficina continua? In una settimana vi sono stati 12 morti; 1000 famiglie hanno lasciato le loro case verso i villaggi della piana di Ninive; 5 case sono state distrutte con esplosioni. Paura, solitudine e timori dominano nella minoranza cristiana. La memoria di Dora[1] a Bagdad non è dimenticata. Se la situazione continua in questo modo, i cristiani saranno costretti a nuove “fughe di massa”.
Gli attentati di Mosul hanno però un carattere speciale: essi non sembrano essere legati a bande di delinquenti, perché questa volta essi non chiedono alcun riscatto. È possibile che dietro gli assassini vi siano dei fondamentalisti. Ma come spiegare il silenzio e l’immobilità delle autorità locali e centrali quando una macchina con altoparlante gira per le vie del quartiere di Sukkar, gridando e ordinando ai cristiani di andarsene via?
Io penso che dietro tutte queste violenze vi sia un movente politico.
Questa campagna per far fuggire i cristiani potrebbe nascondere vantaggi di carattere politico in prossimità della tornata elettorale del gennaio 2009 e la controversia sull’approvazione della legge per le elezioni provinciali. L’attuale legge cancella la quota riservata per tradizione ai cristiani (e alle altre minoranze). Intimidirli e cacciarli via fa tutt’uno con la negazione della loro rappresentanza. Ma non va esclusa nemmeno l’ipotesi che le violenze contro i fedeli servano a rafforzare l’ipotesi di un’enclave cristiana nella piana di Ninive.
Chiediamo con forza l’intervento del governo per proteggere tutti gli irakeni in difficoltà, ma soprattutto i cristiani, attualmente i più esposti. Questo sarebbe un compito anche per le forze di occupazione.
Chiediamo l’intervento della comunità internazionale per proteggere le minoranze in Iraq, specie in occasione delle prossime elezioni provinciali. E domandiamo con particolare urgenza l’intervento dell’Onu e dell’Unione europea perché solleciti il governo di Baghdad a rispettare le minoranze nelle prossime elezioni.
Il parlamento irakeno ha votato una legge che non riconosce i diritti delle minoranze. Questo porterà alla distruzione definitiva delle minoranze etniche e religiose di questo paese ed accelererà l’esodo dei cristiani.
Chiediamo ai cristiani d’occidente di non essere solo preoccupati delle borse e dell’economia, ma di denunciare ogni forma di violenza e di mostrare verso di noi solidarietà e condivisione.
[1] Dora, quartiere di Baghdad dove negli anni scorsi sono avvenuti uccisioni di cristiani, rapimenti di fedeli e sacerdoti, attentati a chiese. Queste violenze hanno portato all’esodo di centinaia di migliaia di persone. Una maggiore sicurezza è stata riconquistata dopo l’operazione militare “Surge” da parte di militari americani e irakeni.