Vescovi irakeni: senza paure, riprendere il cammino missionario
Mons. Warduni e mons. Rabban spingono a superare “timori e divisioni”, invitando i cristiani a rimanere in Iraq per essere un messaggio di speranza. Problemi da sette protestanti europee e americane che, sfruttando le sofferenze, “comprano i fedeli” con il denaro.
Città del Vaticano (AsiaNews) – È un messaggio che invita “all’unità dei cristiani” quello lanciato dai vescovi irakeni, in questi giorni a Roma per la visita ad limina da papa Benedetto XVI. I prelati esortano la Chiesa dell’Iraq e i fedeli a seguire il monito lanciato da Giovanni Paolo II all’inizio del mandato: “Non abbiate paura” a testimoniare la vostra fede, andando “oltre le divisioni” che sono un “segno di debolezza” per diventare un “esempio da seguire” fino alla croce. Restare in terra irakena, essere pronti a “morire l’uno per l’altro” testimoniando la fede “fino alla chiamata più grande, il martirio”.
“Per rinnovare la nostra missione in Iraq dobbiamo essere ‘rievangelizzati’ per tornare forti come i primi fedeli, che sono stati capaci di dare la loro vita per Cristo”, afferma mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, il quale invita “sacerdoti e vescovi a essere leali e chiari, e a non avere timore di sacrificarsi per Cristo”.
Il vicario del Patriarca invita la comunità cristiana “ad andare oltre la logica delle divisioni” fra cattolici, ortodossi e protestanti, perché solo attraverso “l’amore reciproco si ha la forza necessaria per affrontare le persecuzioni”. “Se vogliamo rinnovare la Chiesa irachena – sottolinea mons. Warduni – dobbiamo anzitutto rinnovare noi stessi, costruire invece di distruggere”. Il prelato spiega che per “ritrovare l’unità” bisogna seguire tre principi ispiratori: l’obbedienza, l’umiltà e l’amore, rinnovando rapporti di “collaborazione reciproca” che sappiano superare “divisioni e incomprensioni”. Egli rivolge un pensiero anche ai giovani, la speranza per il futuro della Chiesa e del Paese: “La Chiesa è fondata sui giovani ed è a loro che dobbiamo garantire un futuro di pace e di sicurezza”. “Preti e vescovi – prosegue – devono essere un esempio da seguire sul cammino della missione”.
Mons. Warduni denuncia infine il pericolo che deriva da sette che si definiscono cristiane, le quali usano il denaro per attirare l’attenzione di un popolo che è segnato dalla guerra e dalle sofferenze: “Vi sono sette protestanti – conclude il vescovo ausiliare di Baghdad –che arrivano dall’Europa e dall’America le quali, attraverso il denaro, cercano di evangelizzare i fedeli. Vi sono casi di cattolici battezzati nuovamente da queste sette. Ecco perché la Chiesa deve essere forte, restare unita, e rispondere a queste minacce”.
Anche mons. Rabban Al Qas, vescovo caldeo di Amadiya ed Erbil, invita a superare la paura, il timore che deriva da persecuzioni e sofferenze e sottolinea l’importanza per i fedeli “di restare radicati nella loro terra”, offrendo loro progetti concreti, come “l’educazione, l’istruzione, la convivenza fra diverse etnie partendo dai banchi di scuola”. Come esempio di vitalità della Chiesa in Iraq, egli riferisce che il 16 gennaio scorso è avvenuta l’ordinazione di 3 diaconi nella parrocchia di San Giuseppe ad Anwaka. Fra 3 mesi essi riceveranno il sacerdozio. “Celebriamo 10 messe la domenica – dice – e i fedeli hanno sete della parola di Dio. Dobbiamo garantire loro la nostra presenza e diventare di esempio per gli altri”.
Il compito missionario della Chiesa, secondo il vescovo di Ammadiya ed Erbil, si manifesta nella presenza e nella condivisione della vita quotidiana: “La visita alle tombe degli apostoli Pietro e Paolo – continua il prelato – fatta in questi giorni a Roma diventa un monito nel cammino di missione: è un invito alla condivisine delle sofferenze, a essere forti per affrontare le persecuzioni, guardare a Cristo per dare nuova linfa alla Chiesa irakena”.
Mons. Rabban al Qas sottolinea che la Chiesa va aiutata nel suo compito educativo e deve valorizzare il lavoro svolto dalle scuole e nei seminari: “Partendo dai giovani possiamo costruire il nostro futuro, garantire loro un percorso scolastico, favorire la tolleranza e la possibilità di esprimere la propria fede, liberi dalla paura. Preti e vescovi devono seguire i giovani nel loro percorso e diventare un modello di vita e di missione”. Il prelato invita inoltre a “guardare all’essere umano, combattere la povertà e fornire progetti concreti che garantiscano la possibilità di trovare un lavoro”. A questo si aggiunge la necessità per preti e vescovi di essere delle “guide spirituali” che sappiano ricordare “i valori e l’essenza alla base del messaggio cristiano, che è amore e unità guardando all’esempio di Cristo: “Dobbiamo essere dei missionari nella nostra terra – avverte – e far crescere la fede nella gente”.
Per un modello di vita comune, mons. Rabban cita l’esempio che viene da un Liceo Internazionale avviato dalla diocesi, nel quale si insegna la vecchia lingua aramaica per recuperare le tradizioni di una cultura che da millenni è presente nel territorio irakeno: “Attraverso l’educazione – afferma il vescovo – si crea l’evangelizzazione e si rafforza la coscienza di un popolo che deve essere unito e guardare con speranza al futuro. Anche questo rientra nel compito missionario della Chiesa”. Egli annuncia anche programmi e libri in lingua curda “sui sacramenti e sulla storia dei cristiani”, che contribuiscono alla conoscenza della parola di Dio fra la gente.
Il prelato guarda infine ai media, che possono costituire un mezzo per evangelizzare e diffondere il messaggio cristiano: “La messa di mezzanotte – conclude – è stata trasmessa in diretta da un canale televisivo curdo. Un modo per far conoscere anche ai non cristiani i riti e le tradizioni legate al Natale e contribuire, in questo modo, al cammino di evangelizzazione”.
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