02/12/2009, 00.00
GIAPPONE - COREA
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Vescovi giapponesi e coreani si incontrano nel nome del card. Kim

di Pino Cazzaniga
Vogliono raccogliere l’eredità del defunto card. Stefano Kim: superare le ostilità del passato di guerra e impegnarsi per i poveri.

Osaka (AsiaNews) - Il 16 e 17 novembre la diocesi cattolica di Osaka ha ospitato 31 vescovi, 16 giapponesi e 14 coreani guidati, dai due presidenti delle rispettive conferenze episcopali: Pietro Takeo Okada, arcivescovo di Tokyo, e Pietro Kang Il, vescovo di Jeju (Corea sud). Tecnicamente si è trattato del quindicesimo incontro di interscambio che i leader cattolici dei due paesi tengono ogni anno; in realtà è stata una riunione nel nome del cardinal Stefano Kim Sou Hwan (1923-2009), già arcivescovo di Seoul, deceduto il il 6 febbraio del 2009.

Stefano Kim è stata figura leggendaria, di qua e di là del mare del Giappone. Molti coreani, ora anziani, lo hanno chiamato “padre della patria” e i cristiani semplicemente il “buon pastore”. I dittatori lo hanno temuto, i poveri amato, i fedeli venerato.

Nato sotto la dominazione giapponese (1910-45) ha trascorso gli anni della giovinezza in Giappone. L’autoritarismo della dittatura militare lo ha fatto uscire dal seminario arruolandolo nell’esercito imperiale. Ritornato in Corea è stato ordinato sacerdote durante la guerra coreana (1951-53), e nel 1968, a 46 anni, è stato nominato arcivescovo cattolico di Seoul. È stato anche il primo cardinale coreano e per anni presidente delle conferenze episcopali dell’Asia.

In Giappone vivono oltre 600.000 coreani distinti in due gruppi: antichi e recenti. I primi sono discendenti di coreani costretti a venire in Giappone durante il periodo della colonizzazione della penisola: la maggior parte di loro vivono nella regione di Osaka e Kobe e conoscono solo la lingua del Giappone, ma rifiutano di prenderne la cittadinanza perché non vogliono sradicarsi dalla loro cultura. I secondi, numerosi soprattutto nella zona di Tokyo, sono venuti qui nel periodo del dopoguerra. La scelta di Osaka per il meeting è stata coscientemente voluta.

Gli eventi principali dell’incontro sono stati: la proiezione di un DVD, due conferenze e una camminata nei rioni poveri di Osaka e Kobe. In tutti è costantemente emersa la figura del “buon pastore, Stefano Kim.

Il titolo del documentario “Thank you all, I love you all” (“Ringrazio tutti, vi amo tutti”) e’ la frase che il cardinale morente ha pronunciato poco prima di entrare nella gloria di Dio

Per molti decenni, giornalisti disinvolti hanno indicato i rapporti tra Giappone e Corea con l’espressione: “vicine-lontane”: vicine per geografia, lontane per storia. Il potere militare del Giappone nei secoli XVI e XX hanno inferto alle popolazioni della penisola coreana ferite difficilmente rimarginabili Per il cuore di Stefano Kim sono sempre state “vicine-vicine” e si è impegnato perché le gravi ferite fossero sanate.

Il compito di farne risentire la presenza nel Paese del sol levante è stato affidato soprattutto al vescovo Kang, che per molti anni come educatore nel seminario della diocesi di Seoul e poi vescovo ausiliare,. è stato suo stretto collaboratore. Lo ha svolto con una conferenza dal titolo “Vita e visione del defunto cardinal Stefano Kim Su Hwan” che ha definito “il profeta Giona e il buon Pastore dei nostri tempi”: Giona per la sua energica difesa dei diritti umani, Pastore per la sua delicatezza verso i deboli e i poveri.

Da parte giapponese la lezione è stata tenuta dal francescano padre Tetsuro Honda, che dopo essere stato al vertice del suo ordine in Giappone, ora vive a Kamagasaki, il quartiere di Osaka piu’ famoso in Giappone per il numero di senza tetto o di lavoratori a giornata. In tale contesto la memoria di Kim è stata presentata come l’icona degli ideali biblici di giustizia e di pace.

I vescovi coreani hanno speso parecchio tempo pellegrinando per le vie dei quartieri popolari della regione, specialmente dove vivono i coreani nisei, cioè quelli della seconda generazione. Calorosa è stata l’accoglienza che ha offerto loro la chiesa di Ikuno (Osaka), dove più della metà dei fedeli sono coreani e coreano è Lee Jol, il presidente del consiglio pastorale.

La sua testimonianza non sarà facilmente dimenticata. Nato e cresciuto in Giappone, in gioventù è andato come studente in Corea (sud), durante il periodo della dittatura militare del presidente Park Chung Hee. Qui è stato imprigionato e condannato a morte per la sua attività a favore del movimento di riconciliazione e unione tra il nord e il sud. La sentenza non è stata eseguita, ma Lee Jol in prigione vi è rimasto 13 anni. Anni indimenticabili, ha detto lui, soprattutto per i due più grandi doni che ha ricevuto nella sua vita: il battesimo e l’amicizia dell’arcivescovo Stefano Kim, il difensore dei perseguitati. E quando, terminata la detenzione, si è deciso a sposarsi, lo stesso cardinale si è offerto a presiederne il rito.

Le Messe celebrate nei due giorni del raduno sono state significativamente presiedute dai vescovi John Chang Yik e Joseph Lee Han Taek, rispettivamente responsabili dei cattolici delle regioni di Chuncheon e di Uijeongbu, le due provincie direttamente a contatto con la Corea del nord. “Dobbiamo comunicare il vangelo alla gente del mondo con la nostra umile vita come ci ha mostrato il cardinal Kim”, ha detto John Chang e Joseph Lee ha chiuso lo storico meeting dicendo che la Chiesa non deve esitare a esprimere la sua protesta a favore dei poveri che ci sono vicini”.

È l’ideale che il vescovo Stefano Kim Sou Hwan ha sempre vissuto senza incertezze e che i 31 vescovi radunati a Osaka hanno di nuovo voluto raccogliere come impegnativa eredità spirituale.

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