10/07/2009, 00.00
COREA DEL SUD
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Vescovi coreani: la “morte dignitosa” è un eufemismo per legalizzare l’eutanasia

di Theresa Kim Hwa-young
Il presidente del Comitato di bioetica chiarisce che essa “non è mai giustificabile né legalizzabile”. Un secondo ospedale di Seoul adotta le linee guida dei giudici per il fine vita, autorizzando di fatto la “morte dolce”. La donna 77enne alla quale hanno staccato la spina il 23 giugno scorso respira in maniera autonoma.
Seoul (AsiaNews) – Il concetto di “morte dignitosa” ha spinto il popolo coreano ad accettare “in maniera inconsapevole l’eutanasia”. Qualsiasi atto che provoca “la morte diretta” di una persona “non è mai giustificabile né legalizzabile”. È la dura presa di posizione di mons. Gabriel Chang Bong-hun, presidente del Comitato di bioetica della Conferenza dei vescovi sud-coreani, che conferma la strenua opposizione dei cattolici all’introduzione della “morte dolce” nel Paese.
 
La battaglia etica sul diritto a “morire in maniera dignitosa” – un eufemismo per l’eutanasia, secondo il vescovo – è divampato nel maggio scorso. La Corte suprema sud-coreana ha autorizzato il distacco del respiratore artificiale e dell’alimentatore a una donna di 77 anni, in coma in seguito a un’emorragia interna per un intervento di endoscopia malriuscito. Il 23 giugno i medici hanno staccato la spina, ma dopo 17 giorni Kim Ok-kyung è ancora viva.
 
Il 7 luglio un secondo ospedale di Seoul ha deciso di adottare le linee guida stabilite dai giudici, per permettere il distacco del respiratore artificiale. Un ulteriore segnale che indica l’apertura della Corea del Sud alla nozione di “morte dignitosa”. Un portavoce del Seoul National University Hospital spiega che essa verrà applicata ai pazienti malati di cancro, Aids, morte cerebrale e ai malati cronici gravi.
 
“Non siamo contrari al rifiuto del paziente – sottolinea mons. Chang – di rimanere attaccato al respiratore, quando raggiunge l’ultimo istante di vita e desidera respirare in maniera autonoma. “Tuttavia – precisa – questo rifiuto [del respiratore] non deve essere inteso come volontà di morire. La rimozione del supporto implica l’interruzione di un prolungamento artificiale della vita in un malato terminale. Ma, in qualsiasi caso, le cure mediche di base non vanno interrotte, fra cui la fornitura di cibo e acqua”.
 
Nelle scorse settimane esponenti del mondo cattolico avevano denunciato una errata interpretazione della sentenza dei giudici. Per il presidente del Comitato di bioetica dei vescovi, il vero significato di “morte dignitosa” è “l’accettazione della morte in maniera naturale e chiudere gli occhi in pace”; il prelato sconfessa “la cultura della morte” che sembra trionfare nel Paese. Al riguardo Mons. Chang sottolinea la reazione della gente, “sorpresa” che la donna in coma sia ancora viva dopo oltre due settimane dal distacco del respiratore.
 
“Il centro di gravità – conclude il vescovo – del termine ‘morire con dignità’ si è spostato verso il concetto di morte; per deviare il vero significato della questione si è aggiunta la parola ‘dignità’. Ma questo altro non è che un eufemismo per l’eutanasia”.
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