Vescovi cattolici: fra “speranza e paura”, l’Iraq assiste al ritiro delle truppe Usa
I prelati sottolineano il desiderio di “costruire un futuro all’insegna della riconciliazione nazionale”. Restano le divisioni “etniche e confessionali” e la minaccia di “elementi esterni” che vogliono alimentare il caos. A Mosul restano le tensioni fra sunniti e curdi; nella capitale riferiscono che “l’esercito irakeno non è pronto ad assumere il controllo”.
Baghdad (AsiaNews) – Speranza e preoccupazione. Così l’Iraq vive il ritiro delle truppe statunitensi dalle città, a sei anni dal conflitto che ha portato alla caduta di Saddam Hussein e a una sanguinosa guerra civile. La speranza è che la popolazione irakena sappia “costruire un futuro all’insegna della riconciliazione nazionale”. Restano le preoccupazioni, per una situazione che al momento è caratterizzata da “divisioni etniche e confessionali” e per “l’influenza negativa di forze esterne al Paese”. Fra queste, le milizie fondamentalista di al Qaeda o il vicino Iran, segnato anch’esso da una profonda crisi politica e da una lotta interna per il potere.
Oggi inizia il ritiro ufficiale dell’esercito Usa dall’Iraq, che dovrebbe essere completato entro la fine del 2011. Per capire con quale spirito la popolazione vive il ritiro delle truppe Usa, AsiaNews ha interpellato mons. Louis Sako – arcivescovo caldeo di Kirkuk, nel nord del Paese – e mons. Sleimon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad.
“La gente è preoccupata – afferma mons. Sako – e ha paura del futuro. Ieri le famiglie cristiane non hanno mandato i loro bambini al catechismo per la prima comunione, e anche nei prossimi giorni non verranno. Aspettano di vedere cosa succederà; non hanno fiducia”. L’arcivescovo di Kirkuk ricorda gli attentati degli ultimi giorni, che hanno causato decine di vittime, e invita le autorità irakene a far fronte alla situazione “con forza” e mostrare “competenza” nella gestione del passaggio dei comandi.
Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, racconta di un clima di “grande speranza” fra le vie della capitale, dove si festeggia con fuochi artificiali il ritiro delle truppe americane. “Si spera – sottolinea il prelato – nella riconciliazione nazionale e nella cooperazione per il bene del Paese, senza guardare solo agli interessi propri”. Egli conferma una sensazione generale “di paura”, ma aggiunge anche la “speranza degli irakeni di essere in grado da soli di mantenere la pace”.
Divisioni interne e minacce esterne restano questioni irrisolte e il principale ostacolo sul cammino della pacificazione. “La popolazione – spiega mons. Sako – aspetta la riconciliazione fra le fazioni politiche, la stabilità, costruzioni, progetti e infrastrutture e il ritorno dei rifugiati”. Il prelato è “sicuro” che il governo lavorerà per “rendere stabile la situazione” ma non è altrettanto certo che l’obiettivo verrà raggiunto. “Ho paura – aggiunge – dell’influenza negativa dei Paesi vicini. L’esercito irakeno da solo non è ancora in grado di proteggere l’ordine. A questo si sommano divisioni etniche acuite nel corso degli anni, che hanno portato profonde divisioni fra sunniti, sciiti, arabi, turkmeni, curdi e persino fra gli stessi cristiani”.
Preoccupazioni che riguardano anche il vescovo ausiliare di Baghdad, che parla di “persone che sono un peso enorme e un ostacolo al cammino di pace” perché “non la vogliono”. “Speriamo – afferma mons. Warduni – che gli irakeni stessi prendano coscienza del valore dell’unità e lascino da parte quanti vogliono il male e il caos. Vogliamo che l’Iraq governi se stesso con le sue forze, politiche, economiche e militari. Ma vi sono interessi esterni che mirano a fomentare divisioni”.
Una frammentazione che contraddistingue anche la comunità cristiana, suddivisa in fazioni politiche e partiti. “Dobbiamo essere un esempio per gli altri – concludono i vescovi irakeni – e collaborare alla ricostruzione del Paese all’insegna dell’unità e del rispetto”.
Fonti di AsiaNews a Mosul, intanto, descrivono una situazione di “tensione e preoccupazione” per la strada. Restano le “divisioni fra sunniti e curdi”, i quali non vogliono “abbandonare intere zone di territorio sottoposte al loro controllo attraverso le milizie Peshmerga”. I sunniti, vincitori alle ultime elezioni, aspirano a riprendere il possesso della zona e “la partenza delle truppe americane potrebbe esasperare la tensione”.
A Baghdad, un giornalista irakeno – che chiede l’anonimato – spiega ad AsiaNews che “le truppe irakene non sono pronte ad assumere la responsabilità della sicurezza nazionale”. Le ragioni, sottolinea la fonte, sono duplici: l’esercito è carente “sia dal punto di vista delle attrezzature”, sia sotto il profilo “psicologico, perché hanno perso le motivazioni per sacrificarsi a difesa del Paese”.
Il nazionalismo e lo spirito di appartenenza nazionale sono in forte calo. La fonte avanza il dubbio di “un piano americano”, in base al quale “gli Usa sanno che l’esercito irakeno non è pronto ad assumere il controllo della nazione, ma hanno deciso ugualmente di ritirarsi, per poi ribadire che la presenza statunitense è fondamentale per la sicurezza. Gli Usa intendono rientrare in un secondo momento, negoziando nuovi accordi”.(DS)
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