Verso un nuovo sperpero delle finanze pubbliche
Milano (AsiaNews) - Oggi il presidente della banca centrale statunitense (Fed), Ben Shlomo Bernanke (Nella foto, insieme con Obama) dovrebbe ripetere chiaramente le previsioni molto negative sull'andamento dell'economia americana, illustrate in un precedente articolo di AsiaNews[1].
Il governatore della Fed non è un analista economico che cerca d’illustrare il probabile o possibile andamento dell’economia, perché il suo è un ruolo operativo. Quel suo discorso dei primi di ottobre è perciò il preludio, il preannuncio di una prossima mossa della Fed. Qui di seguito cercheremo perciò in primo luogo di capire quanto Bernanke non ha detto né esplicitamente né implicitamente. In secondo luogo, data l’importanza per tutto il mondo delle iniziative della banca centrale americana, cercheremo di prevedere le conseguenze logiche di quanto detto e quanto non detto e di ipotizzare per via logica quale sia la prossima probabile mossa della Fed e le conseguenze che ne derivano.
Questa prossima mossa dovrebbe arrivare molto presto, al più tardi entro dicembre.
Ulteriori segnali del resto non mancano. Il maggiore quotidiano canadese, The Globe and Mail, alcuni giorni fa ha riportato le dichiarazioni[2] di Laurence Kotlikoff, un professore dell’Università di Boston, che ha spiegato in linguaggio chiaro destinato al grande pubblico quanto aveva già affermato in linguaggio accademico[3] lo scorso settembre su una rivista del Fondo Monetario Internazionale. Kotlikoff ha infatti chiarito che ” Il debito pubblico USA non è il 60 % del PIL, ma 200.000 miliardi di dollari, 840 % dell’attuale PIL”. Ha anche aggiunto: “Diciamoci la realtà: gli USA sono alla bancarotta”. Molti altri, tra cui AsiaNews, [4] l’avevano affermato molto tempo fa. Il fatto però che ora questi commenti vengano pubblicati su giornali a grande tiratura e su riviste istituzionali come quella del Fondo Monetario Internazionale sta ad indicare che le prossime mosse non solo sono imminenti, ma anche clamorose.
Per oggi, subito dopo le elezioni di medio termine – quando i risultati dicono che da adesso in poi il presidente USA Barak Obama si ritrova senza più una solida maggioranza parlamentare alla Camera dei rappresentanti –, Bernanke ha convocato una riunione del Consiglio dei governatori della Fed. Sembrerebbe l’occasione più propizia perché gli americani ed il resto del mondo saranno un po’ più distratti del solito nel seguire l’esito delle elezioni. Nel corso di tale riunione, è probabile perciò che Bernanke ripeterà più in chiaro ed in maniera ufficiale il suo discorso di Rhode Island del 4 ottobre ed inviterà il Consiglio a prendere atto del fatto che a) non solo l’economia americana non è ripartita, ma mostra nuovi segni di debolezza, b) non solo che la disoccupazione reale non è diminuita ma che è aumentata. Di fatto – anche se è improbabile che Bernanke si esprima in maniera così cruda – è fallita a) sia la manovra cosiddetta di Stimolo economico [decisa nel febbraio dello scorso anno dal presidente Obama subito dopo il suo insediamento] b) sia il provvedimento della Fed, la cosiddetta “Facilitazione Quantitativa” (Quantitative Easing, QE).
Il suddetto Stimolo di Obama e la QE della Fed erano di fatto due diversi strumenti di un unico meccanismo che avrebbe dovuto fornire, così ci dicevano, una soluzione a quella che si avvia a diventare, ormai è chiaro, la peggiore crisi almeno di questi ultimi 250 anni.
La ragione del fallimento, ci dirà Bernanke, sulla scia del pensiero di alcuni premi Nobel per l’economia come Paul Krugman, è che la manovra decisa un anno e mezzo fa non è stata sufficientemente “coraggiosa”. Per conseguire l’uscita definitiva dalla crisi, occorre, dunque, ci verrà detto, aumentare la dose, con ulteriore aggravio sulle finanze pubbliche, commenta chi scrive.
Che dal fallimento della QE1 se ne tragga un’autocritica è poco verosimile. È improbabile, infatti, che Bernanke, per la sua stessa formazione intellettuale, voglia (o possa) mettere in discussione le stesse basi teoriche ed intellettuali del meccanicismo insito sia nella “dottrina” di Keynes (vedi Krugman) che nel monetarismo (Friedman e Greenspan). Che l’economia sia o debba essere governata da principi meccanicistici non è scontato (basti pensare, andando indietro nel tempo, al concetto di creatività in Schumpeter ed al principio di concretezza e del rifiuto delle astrazioni finanziare e monetaristiche della scuola austriaca a partire da von Mises). È ben improbabile, però, che chi ha avuto e tuttora detiene le leve del potere politico e finanziario possa o voglia per il momento, prima del cataclisma prossimo venturo, riconoscerlo sconfessando i cardini del meccanicismo su cui è costruito l’attuale sistema economico. In primo luogo occorrerebbe, infatti, che le elite ne fossero consapevoli e così non è perché il meccanicismo in economia è strettamente correlato alla corrente di pensiero attualmente dominante, il relativismo ed il materialismo pratico e praticato soprattutto, ma non solo, delle classi dirigenti.
Inoltre, il meccanicismo economico, puntellato dalle elucubrazioni di un nugolo di compiacenti professoroni premi Nobel per l’economia, è stato lo strumento principale, il corredo di alta matematica, per consolidare ed ampliare un sistema di giganteschi interessi e privilegi finanziari. Rinunziarvi, per abbracciare una diversa visione del mondo, sarebbe quindi ben duro.
L’ottusità è però un fattore da non sottovalutare mai. Può essere utile ricordare come i generali della Primaguerra mondiale, per incomprensione dei nuovi mezzi bellici, chiedessero sempre maggiori sforzi quantitativi per far avanzare il fronte di qualche metro. Milioni di soldati furono così mandati, quasi cent’anni fa, a farsi massacrare dalle mitragliatrici avversarie. Allo stesso modo, anche oggi l’ortodossia economica si rifiuta di riconoscere che non riesce a prevedere gli eventi non lineari – le insolvenze dei mutui sub-prime ad esempio – e gli eventi estremamente rari – come la crisi sistemica prossima futura. Per questa ragione è molto probabile che ulteriori risorse verranno inutilmente bruciate in un nuovo sforzo quantitativo, per l’ultimo disperato assalto alla baionetta.
La nuova “Facilitazione Quantitativa”, la QE2 per distinguerla dalla precedente, sarà perciò di dimensioni simili o addirittura ancora maggiori della prima per assicurarsi che ne derivi un risultato. Possiamo così ipotizzare una QE2 di circa 1.000 / 2.000 miliardi di dollari. Il suo impatto, grazie all’effetto del moltiplicatore monetario, sarà perciò enorme, teoricamente circa 10 / 15 volte[5] l’impulso impresso dalla Fed. In questo modo si guadagnerà del tempo, al massimo un anno, forse meno, ma come è fallita la prima QE alla fine fallirà anche la QE2 ed allora sarà il cataclisma, complice quella valanga di derivati – circa 15 volte il PIL mondiale – che si è accumulata in questi ultimi decenni (ma potremmo andare anche più indietro a circa mezzo secolo fa). La moneta, infatti, non produce ricchezza reale, beni e servizi utili, ma solo ricchezza monetaria, mentre lo Stimolo economico non è che un’altra forma di dirigismo, già tante volte fallito nel passato[6].
Nonostante i numerosi precedenti storici, condannare al fallimento la QE2, ancor prima che venga decisa, potrebbe comunque sembrare oltre che prematuro, pur sempre un’immotivata e malevola prevenzione ideologica da parte di chi scrive.
Non è così, anche la QE2 fallirà – negli obiettivi dichiarati – ma per ragioni intrinseche. Ovviamente, la QE2 non fallirà negli obbiettivi non dichiarati, procrastinare di circa un anno il collasso del sistema finanziario e bancario per dar tempo alle elite di adeguatamente riposizionare le proprie ricchezze.
Per i comuni mortali la QE2 produrrà invece uno strano mostro a due teste, depressione deflazionistica associata ad iperinflazione dislocativa e traslativa. Prima di chiarire meglio questi concetti, per ora solo ipotetici, è ovviamente opportuno attendere finché non saranno note le decisioni che verranno effettivamente prese nel prossimo o nel successivo Consiglio della Federal Reserve.
[1] Vedi, AsiaNews, 13/10/2010, Bernanke: Il disastro finanziario globale è imminente
[2] Vedi, The Globe and Mail, Neil Reynolds, 29/10/2010, The scary actual U.S. government debt
[3] Vedi, Finance & Development, September 2010, Laurence Kotlikoff , A Hidden Financial Crisis
[4] Vedi, AsiaNews, 30/09/2008, Quanto è profondo l’abisso del caos economico, sociale e politico
Vedi, AsiaNews, 09/12/2008, Crisi economica: Stati Uniti e Cina, tempesta valutaria all’orizzonte
Vedi, AsiaNews, 19/12/2008, Debito Usa verso l’insolvenza
Vedi, AsiaNews, 29/12/2009, Ben Bernanke “uomo dell’anno”, mentre si attende l’iperinflazione e un governo mondiale
Vedi, AsiaNews, 03/03/2010, Rischia di esplodere già quest’anno il debito pubblico degli Usa
[5] In realtà l’impatto dovrebbe essere inferiore per il fenomeno di distruzione della moneta bancaria a causa delle insolvenze.
[6] Vedi soprattutto a) Bill Clinton che giustificò la liberalizzazione finanziaria – grande madre dei derivati – con la nobile finalità di permettere l’acquisto della casa alle minoranze etniche – e proprio da questi due ingredienti, liberismo finanziario e dirigismo legislativo, nasce la bolla dei mutui “sub-prime” – vedi anche, per senso d’imparzialità, b) l’economia di guerra di Bush o c) l’economia “verde” di Obama e, andando più indietro nel tempo, vedi anche d) il fallimento dei piani quinquennali sovietici ed in genere dell’economia pianificata [una forma molto estrema di dirigismo] o d) del cosiddetto “keynesianesimo militare” nazista [anche questa una forma estrema e peculiare di dirigismo] che già nel 1938 era al collasso per mancanza di materie prime in regime di autosufficienza, da cui la “necessità” del “Lebensraum” e quindi dell’espansione militare ad est. Si potrebbero però fare anche molti altri esempi storici e con riferimento all’Asia si potrebbe ricordare e) il dirigismo nipponico di prima della 2a guerra mondiale manovrato dai “zaibatsu” (Mitsubishi, Mitsui, Sumitomo, Yasuda, ecc.), i gruppi finanziari commerciali industriali del Giappone Imperiale, che nel ‘900 condussero alle guerre coloniali in Corea, Manciuria, Cina e poi nel resto dell’Asia. Si potrebbe aggiungere anche f) l’attuale dirigismo cinese “capital comunista” con la sua turbo crescita ottenuta grazie alla macchinazione di un tasso di cambio artificialmente basso e certificato da dati statistici pilotati. Quest’ultimo dirigismo però non è ancora collassato (ma collasserà).