Vaticano: Vescovi e sacerdoti della Cina, siate uniti al papa e fra voi, anche nelle persecuzioni
La lettera del Card. Dias a conclusione dell’Anno sacerdotale, ribadisce che la fedeltà al papa è “garanzia di libertà”. Allo stesso tempo si domanda a vescovi e preti di ricostruire l’unità della Chiesa in Cina, abbandonando desideri di ricchezza o di carriera nella società e nella politica.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Una “Lettera ai Vescovi e ai Sacerdoti nella Cina continentale” è stata resa pubblica oggi dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, a firma del Prefetto, card. Ivan Dias, e del Segretario, mons. Robert Sarah.
La lettera porta la data del 5 luglio, e vuole essere uno sprone per vescovi e preti della Cina a continuare nel solco dell’Anno sacerdotale, ricordando figure insigni di sacerdoti come il Curato d’Ars e Matteo Ricci, del quale si è celebrato il 400mo anniversario della morte.
Un punto molto forte della lettera è la sottolineatura dell’unità col papa, “come garanzia di libertà”. Nel testo si ricorda il coraggio di molti fedeli, che hanno vissuto la fedeltà al successore di Pietro anche fra le persecuzioni. Citando Benedetto XVI, la lettera afferma che le persecuzioni, “malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa”, che invece è costituito dalla divisione fra i membri. Da qui l’invito a vescovi e sacerdoti ad essere promotori di unità nella Chiesa di Cina ancora troppo spesso segnata dalle divisioni.
La lettera non dimentica di esaltare il valore spirituale del ministero del vescovo e del sacerdote e mette in guardia dal “desiderio di arricchirsi di beni materiali o di cercare favori per la propria famiglia o etnia, o di nutrire una malsana ambizione di fare carriera nella società o nella politica”. Ecco il testo integrale della Lettera:
Carissimi Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio di Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote,
La Pace sia con voi!
Le celebrazioni dell’Anno Sacerdotale, che si è recentemente concluso, mi spronano a mandarvi un cordiale e fraterno saluto e a rivolgervi una parola d’incoraggiamento nell’arduo impegno pastorale che state compiendo come pastori del gregge che il Signore vi ha affidato in codesta nobile Nazione. Avrei tanto desiderato di dirvi queste cose personalmente e di ascoltare anche le vostre gioie e i vostri dolori, nonché le speranze che nutrite e le sfide che affrontate ogni giorno. Le vostre testimonianze e i vostri messaggi, che giungono a questa Congregazione Missionaria, ci danno molta consolazione e ci spingono ad innalzare fervide preghiere affinché il Signore vi renda sempre più forti nella fede e vi sostenga nei vostri sforzi per propagare la Buona Novella di Gesù Cristo in codesta diletta Nazione.
Avendo davanti alla mente l’insigne figura di San Giovanni Maria Vianney, Curato d’Ars, che è stato molto ricordato durante l’Anno Sacerdotale, riconosciamo anzitutto - con tutta umiltà - che siamo stati chiamati da Gesù per essere “non più servi, ma amici” (cfr Gv 15, 15) non per i nostri meriti, ma per la Sua infinita misericordia. Egli ci ha conferito l’insigne dignità di essere Alter Christus e ministri della sua Parola, del suo Corpo e Sangue, e del suo Perdono. Ricordiamo sempre le sue parole: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15, 16).
Proprio perché un sacerdote è un Alter Christus — anzi, Ipse Christus —, egli deve essere un Uomo di Dio e Uomo per gli altri.
Anzitutto, Uomo di Dio: uno, cioè, che porta gli uomini a Dio e porta Dio agli uomini. Egli deve pertanto distinguersi come uomo di preghiera e di vita austera, profondamente innamorato di Gesù Cristo e, come Giovanni Battista, fiero di proclamare la sua presenza in mezzo a noi, particolarmente nella Santa Eucaristia.
Un sacerdote deve essere poi anche un Uomo per gli altri: uno, cioè, interamente dedito ai fedeli giovani e adulti, affidati alle sue cure pastorali, e a tutti coloro con cui il Signore Gesù ha voluto identificarsi o verso i quali ha mostrato benevolenza: i peccatori, anzitutto, e i poveri, gli ammalati ed emarginati, le vedove, i bambini, nonché le pecore che non sono ancora del suo ovile (cfr Gv 10, 16). Un ecclesiastico avrà, quindi, cura di resistere a ogni desiderio di arricchirsi di beni materiali o di cercare favori per la propria famiglia o etnia, o di nutrire una malsana ambizione di fare carriera nella società o nella politica. Tutto questo è estraneo alla sua vocazione sacerdotale e lo distrae gravemente dalla sua missione di condurre i suoi fedeli, da buon pastore, sulla via della santità, della giustizia e della pace.
Permettete, carissimi Confratelli, che mi soffermi ora sull’importante ruolo di un Vescovo o di un sacerdote come operatore dell’unità in seno alla Chiesa di Dio. Questo compito ha una duplice dimensione e comporta la comunione con il Papa, la “pietra” sulla quale Gesù ha voluto edificare la sua Chiesa, e l’unione dei membri che ne fanno parte.
In primo luogo: comunione con il Santo Padre. Sappiamo bene quanto alcuni di voi hanno dovuto soffrire nel recente passato a causa della loro fedeltà alla Santa Sede. Rendiamo omaggio a ciascuno di loro, nella certezza che, come afferma Papa Benedetto XVI, “la comunione con Pietro e i suoi Successori è garanzia di libertà per i Pastori della Chiesa e per le stesse Comunità loro affidate”: infatti, “il ministero petrino è garanzia di libertà nel senso della piena adesione alla verità, all’autentica tradizione, così che il Popolo di Dio sia preservato da errori concernenti la fede e la morale” (Omelia pronunciata nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2010). L’esemplare fedeltà e l’ammirevole coraggio, dimostrati dai cattolici in Cina verso la Sede di Pietro, sono un dono prezioso del Signore.
L’altra dimensione dell’unità dei cristiani è l’unione tra i membri della comunità ecclesiale. È questa l’importante sfida che state già affrontando, cercando di rafforzare l’unità in seno alla Chiesa medesima. Sarebbe utile entrare spesso in spirito nel Cenacolo dove il Signore Gesù, dopo aver celebrato l’Ultima Cena insieme ai suoi Apostoli e averli ordinati sacerdoti della Nuova ed Eterna Alleanza, pregò il Padre “perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 21). Per tre volte Gesù insistette sull’unità dei suoi seguaci come segno di credibilità che il Padre lo aveva mandato nel mondo. Carissimi Confratelli, prendiamo a cuore questo accorato appello all’unità dei Pastori che viene dal Cuore di Colui che li ha tanto amati, li ha chiamati e li ha inviati a lavorare nella sua Vigna.
Nella succitata omelia, il Santo Padre ha affermato:«Se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr Mt 10, 16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto». E il Papa indica l’istigatore di tale nefasta situazione quando asserisce: «Uno degli effetti tipici dell’azione del Maligno è proprio la divisione all’interno della Comunità ecclesiale. Le divisioni, infatti, sono sintomi della forza del peccato, che continua ad agire nei membri della Chiesa anche dopo la redenzione. Ma la parola di Cristo è chiara: "Non praevalebunt – non prevarranno" (Mt 16, 18). L’unità della Chiesa è radicata nella sua unione con Cristo, e la causa della piena unità dei cristiani – sempre da ricercare e da rinnovare, di generazione in generazione – è pure sostenuta dalla sua preghiera e dalla sua promessa».
Lodiamo il Signore per gli sforzi già compiuti o in atto a riguardo dell’unità in seno alla Chiesa, anche in fedele ottemperanza alle indicazioni date dal Santo Padre nella Lettera che Egli vi ha indirizzato il 27 maggio 2007, e per i risultati ottenuti finora. Voglia Iddio benedire le vostre iniziative affinché l’unità dei Pastori tra di loro e tra i loro greggi sia sempre più salda in Cristo e nella Chiesa “ad maiorem Dei gloriam”.
In questa quanto mai propizia circostanza, mi onoro di assicurarvi della spirituale vicinanza di Sua Santità il Papa Benedetto XVI, il Quale vi benedice con affetto paterno insieme a coloro che sono affidati alle vostre cure pastorali, e vi invita a proseguire intrepidi sul cammino della santità, dell’unità e della comunione, come hanno fatto le generazioni che vi hanno preceduto.
Che Maria Santissima, Ausiliatrice dei Cristiani, che la Chiesa in Cina venera a Sheshan con filiale e tenera devozione, vi protegga e faccia fruttificare ogni vostro proposito per spargere il bel profumo del Vangelo del suo Figlio Gesù in ogni angolo della vostra amata Patria. In questo importante ed impegnativo compito vi assista il luminoso esempio dell’indimenticabile missionario in Cina, Padre Matteo Ricci S.J., del quale ricordiamo, con riconoscente affetto, il 400.mo anniversario della sua dipartita verso il Regno del “Signore del cielo”.
Con la rinnovata assicurazione delle nostre preghiere e con fraterni saluti In Corde Mariae.
Dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il 5 luglio 2010.
Card. Ivan Dias
Prefetto
+ Robert Sarah
Segretario
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